Una cosa era sicura: faceva un caldo terribile.

Era il 24 aprile e Bologna si stava già trasformando in un forno, in cui i principali protagonisti erano i mezzi pubblici: veri e propri inferni in miniatura, ove i condannati non potevano far altro che accettare passivamente il loro destino sperando, e nello stesso tempo imprecando dio e gli altri santi, che il semaforo diventasse verde e che si raggiungesse la propria destinazione prima di aver impregnato di sudore ogni abito. 

Miriam stava in piedi vicino alla porta di uscita, schiacciata tra due ragazzi che stavano parlando di come avrebbero passato la giornata successiva e una signora anziana che ci teneva a mantenere il posto in pole position anche se sarebbe scesa tra chissà quante fermate.

"Sono le 17.05, farò in tempo?" si chiedeva mentre guardava nervosamente l'orologio, il suo treno sarebbe partito tra un quarto d'ora e ancora mancavano due fermate. L'aspettava, come ogni giorno, un'ora di viaggio per tornare a casa sua, tra le montagne. 'Montanari, montrucci' ecco come venivano chiamati quelli che vivevano nel suo paese, per rimarcare la differenza con i cittadini, fini e sofisticati al confronto dei rozzi tagliatori di legna. Ma Miriam tutto sembrava fuorchè una sprovveduta ragazza di provincia; il suo stile nel vestire, lo sguardo sveglio e la mancanza di un accento marcato rendevano impossibile ai più azzeccare da dove veniva e questo le dava un segreto piacere. Non voleva, infatti, portare addosso alcuna targhetta, nessun segno distintivo, non perchè si vergognasse di se stessa o delle sue origini, semplicemente perchè voleva che gli altri la scoprissero dal nulla, senza pregiudizi. Come un regalo ben incartato, che non porta il nome del negozio in cui è stato acquistato e solo scartandolo è possibile svelare il suo contenuto. 

Sbuffava spazientita guardando fuori dal finestrino, mentre l'autobus procedeva lentissimo nel traffico e la sua odissea quotidiana si faceva via via più sfiancante. Come se non bastasse, stava sudando e non aveva un laccio per capelli, per i suoi bellissimi capelli neri lunghi e mossi, che facevano da cornice a un viso dolce dalle guance piene e con gli occhi verdi. Il tempo passava a rallentatore e le sembrava che quelle otto ore di lezione fossero trascorse più velocemente rispetto a quei venti minuti di autobus. Dopotutto, per Miriam frequentare l'università non era una seccatura, anzi; si sentiva al centro del mondo, nella casa delle idee, nella culla del futuro! E anche se aveva impiegato molta fatica, ora si sentiva parte di quella facoltà, Ingegneria, una volta talmente lontana da non essere neanche un'opzione plausibile, e adesso una realtà soddisfacente. 

"Prossima fermata: Stazione Centrale." Sì, ce l'avrebbe fatta a prendere il treno, avrebbe anche potuto far con calma, se non fosse che dopo aver visto una persona convalidare il biglietto dell'autobus si era ricordata di non aver preso quello del treno. "Merda!"

Appena si aprirono le porte, saltò giù dal bus e iniziò a correre, ma fu una corsa breve: il maledetto semaforo del passaggio pedonale era diventato rosso. E lì non c'era verso, mica ci si poteva buttare in mezzo alla strada con le macchine che implacabili scorrevano veloci e accelerando. Guardò l'orologio della stazione: mancavano sette minuti. "E dai, dai!" Scattato il verde, la corsa riprese, rallentata dal fiume di gente che attraversava in senso contrario, ma una volta entrata dall'ingresso principale finalmente un colpo di fortuna: una macchinetta completamente libera! E allora via ad occuparla, accertandosi che non fosse rotta come spesso succede, che accettasse i contanti e non solo carte di credito che non possedeva. Tutto regolare, tutto perfetto. "Porretta Terme, orario 17.22.. importo 5.10.." Aveva appena aperto il portafoglio, quando la macchia lunga e beige che aveva visto con la coda dell'occhio le si materializzò davanti in maniera netta e distinta: lui. 

Lui, Davide, il ragazzo del suo corso, che conosceva più o meno, molto meno che più. Il ragazzo un po' hipster, un po' alternativo, un po' ribelle, un po' conformista, un po' tutto, il tipo giusto che le sarebbe entrato nel cuore al primo ciao. Non sapeva per quale motivo, ma ogni volta che si incrociavano aveva la sensazione palpabile che lui fosse quello giusto, quello che l'avrebbe resa felice. Felice, felice veramente, come aveva sempre desiderato durante le sue storie nate male e finite peggio, e come solo chi sta sulla stessa lunghezza d'onda riesce ad essere. Non c'era mai stato niente tra loro, nessun avvenimento degno di nota, solo tanti sguardi da mozzare il fiato, un paio di conversazioni poco importanti, nulla di più.

Eppure, mentre lui continuava a camminare guardandola, (robe che se ci fosse stato un palo l'avrebbe centrato alla grande), Miriam era completamente imbambolata, rapita da quella scena, come se avesse visto il suo destino passeggiarle davanti. Allora avrebbe voluto mollare tutto e andargli incontro, per dirgli qualcosa, non importava cosa, l'importante era fermarlo, perchè se l'avesse fermato si sarebbero capiti, avrebbero dato un senso a quel cercarsi per mesi con gli occhi, a quel parlarsi silenzioso, avrebbero avuto una possibilità, sconvolgere le carte in gioco. Invece rimase ferma, a cercare con le dita le monete per il dannato biglietto, mosse soltanto le labbra impercettibilmente per accennare un sorriso che neanche lei stessa allo specchio avrebbe riconosciuto come tale. Completò l'operazione, si mise a camminare guardandosi intorno, ma ormai era troppo tardi; chissà dove era andato, verso quale binario. E improvvisamente tutta la fretta che si era assopita durante quei brevissimi istanti riaffiorò, quindi riprese a correre verso il piazzale Ovest, sperando di intravedere ancora quella giacca, un segno che stavolta non avrebbe ignorato. Riuscì a salire sul treno e dopo un minuto questo partì, mentre si chiedeva frastornata per quale ragione fosse lì sopra, perchè le sue gambe non l'avevano portata nel posto giusto, per quale motivo aveva corso a perdifiato quando sarebbe bastato fare qualche passo, anche con calma, solo qualche passo e tutto avrebbe avuto un senso.

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