L'ho sempre sognata e desiderata com'è, la donna che volevo per la mia vita.

Già da tempo lo scrivevo in qualche mia poesia o racconto. 

Mi dicevo che una simile creatura non poteva esistere. 

Troppo bella. Di una bellezza celestiale. Un angelo in terra. 

Un vero miracolo dal cielo.

Perfetta in ogni sua forma. Occhi come gioielli preziosi. 

Nella sua mente gli stessi miei pensieri, nell'animo le stesse aspirazioni, interessi, desideri.

Troppo idealizzata ed io di lei troppo innamorato. 

La donna, per comprenderci, che sentivo come la vera, autentica parte di me.

L'altra metà di me. Quella metà di noi tutti, (che Aristofane nel Simposio di Platone,

illustra con impegno e dettagli) condannati a cercare per tutta la vita. 

In seguito, leggendo Ovidio, mi soffermai sul mito di Pigmalione amante della scultura, il quale 

realizza una statua di marmo che rappresenta una donna bellissima. La donna dei suoi desideri. 

Di una bellezza suprema. Se ne innamora perdutamente.

La tocca per cercare di sentirla viva. Desidera che lei sia viva. 

Vuole sentire battere il suo cuore. Pulsare le sue vene. Respirare il suo respiro.

E' talmente innamorato che chiede ad Afrodite di darle vita per sposarla. 

Afrodite accoglie il suo desiderio e la statua prende vita.

Finalmente io, dopo tenace ed estenuante ricerca, questa donna l'ho trovata. 

Esiste davvero. Mi sembrava di sognare.

Nessun incantesimo ho dovuto chiedere. Mi è apparsa di fronte cosi... all'improvviso.

Ed ho subito sentito in me un richiamo. Qualcosa di mio. Una forte armonia.

Qualcosa che apparteneva al mio corpo da tempo mutilato. Colei che da sempre cercavo.

Era li davanti a me in tutto il suo candore.

Mi dicevo: se è un sogno, desidero non svegliarmi mai.

Ma era la stupenda realtà. Già innamorato della sua creazione nella mia mente, nel guardarla, 

me ne innamorai di più. La sua luce, la sua bellezza, la sua carnagione come avorio,

il suo animo di iperurania memoria mi esaltò. Mi sentivo felice. 

Di una felicità super terrena. Mai provata prima-

Era lei. Non c'era alcun dubbio. Era lei la mia metà. Mi entusiasmai nel parlarle. 

Nel raccontarle tutto. Ma il destino, crudele e infame, ha ritardato di molto l'incontro. 

Ed io, pur avendola trovata, sto ancora qui  ad amarla e a desiderarla.

Quindi il mio destino è soffrire? L'amore, l'amare è sofferenza? E' bello soffrire per amore.

(E qui mi è ritornato alla mente il racconto stupendo della sacerdotessa Diotima a Socrate 

riguardante la nascita di Amore, figlio di Poros e Penia, cioè nato dall'astuzia, dall'ingegno del padre 

e dalla povertà, la madre. Ardito e audace da un lato povero dall'altro. Alla costante ricerca

di qualcuno. Si dispera costantemente. Si isola con il suo dispiacere ed il suo dolore. 

Ma sempre avvolto nella sua bellezza)

Non so se ce la farò ancora. 

Sapendo che lei esiste davvero ma non poterla stringere tra le braccia. 

Non sentire i battiti del suo cuore sul mio cuore mi rende inesorabilmente triste- 

Vorrei implorare Atropo affinchè recida con le sue cesoie il filo che lega questa vita. 

Ma non posso farlo. Sarebbe ancora più crudele non ammirarla più.

 

Poesie in lingua napoletana

 

Vibrazioni d’amore

Chiù niente agge capite ‘a quande t’agge canusciute!

‘E forme toje

‘e ll’addore ‘e rose e chesta pelle.

me fanne ‘mpazzi.

Me sente ‘mpiette ‘e fiamme dell’ammore,

ca m’appiccene ‘e passione.

Te voglie astregnere ‘a me

‘e farte abbandunà dint”a sti bracce meje.

Te voglio fa alluccà

sule ‘e piacere.

Te voglio fa vibrà.

Inebrià…

Te voglio fa tremmà

pò desiderio che chianu chiane

te saglie dintӏ vene

‘e te sazie ogne vulie ‘e ogne penziere


 

'O Bbene mije pe te!

Comme facce ‘a te di do bbene mio pe tè?

Ce vonne ‘e parole.

Ma no ‘e parole ‘e tutte ‘e juorne.

So poche. So comune.

Ce vonne parole nove.

Scritte dè stelle.

Stampate dà luna.

Cullate do mare e lette dò sole.

Pe tè ffà ‘ncantà

Pè te ffa annammurà

Ce vonne parole doce comm’’a nù vase.

Parole appassiunate,

comme ‘a nù mumente d’ammore.

Parole ‘e ffuoche,

pè t’appiccià ‘o core.

Parole armuniose

Pè te cullà ‘ncopp’’a nu desiderio.

Parole ‘e forze,

Che te fanne tremmà ll’anema

pe te scetà ‘ncuorpe tutte ‘a felicità

Cà ll’ammore te po’ dà.


 

Songhe sempe 'nnammurate 'e te

ponne Passà ‘e juorne,

‘e mise.... ll’anne

ma songhe sempe ‘nnammurate ‘e te

comme ‘a primma vote!

Comme a primma vote prove sempe ‘a stess”emozione

quande te veche, ‘o parle ‘e te.

‘E vote dint”a notte me scete all’improvvise

‘e sò cuntente,

pecchè penza ‘a te.

‘E penzannete

me nasce nu surrise

ca me fa stà felice

e me fa respirà.


 

Si putesse...

Si putesse essere amate

comme 'j voglio bbene a te

che cosa belle fosse dint''a sta vita mia!

Pecchè ije sacce,

sento

Songhe sicure,

ca si chella ammità 'e me, che me mancave

'e cà mò agge truvate.

'E sule tu si, pe me, 'a felicità.

Ma tu nun può nemmeno immaginà

dint''a stu core mije che ce stà!

'E a chiste ammore 'o faije sule suffri 'e disperà.


 


 


 

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