Ho ancora gli occhi chiusi. Ci vogliono sempre un paio di secondi prima che mi decida ad aprire gli 

occhi al mattino, e anche questa volta voglio che il rituale sia rispettato.  Alla fine li apro di colpo, e 

comincio a mettere a fuoco. La camera in cui mi trovo è la solita, un piccolo bilocale arredato 

spartanamente anche per gli standard di Ikea: oltre al mio letto c’è una piccola scrivania bianca e 

un armadio sempre stracolmo di vestiti, diviso perfettamente a metà tra i completi che uso per 

andare al lavoro e gli abiti che mi piace definire “normali”. Mentre osservo l’ambiente, cerco di 

capire cosa sia stato svegliarmi. Non avevo puntato nessuna sveglia, infatti il mio iphone è più 

muto della tomba del suo originario creatore, scomparso proprio un paio di giorni prima del lancio 

di quell’ultimo upgrade.  Sono piuttosto stanco,  quindi capisco ancor prima di controllare l’ora che 

non è tardi. Otto in punto, ed essendo sabato è l’alba. La sera prima ho fatto tardi e l’idea di 

essermi svegliato così presto mi insospettisce. Milano fuori dalla mia finestra è silenziosa. Non c’è 

da stupirsene, del resto. Il finesettimana allontana la maggior parte dei Milanesi dalla città, e i 

pochi che rimangono sono rincasati troppo tardi per affollare via Torino così presto. Tra l’altro non 

entra un filo di luce dalla finestra: questa è la cosa più strana, penso. La primavera è ormai 

inoltrata, essendo maggio, e le previsioni danno cielo sereno fino alla settimana successiva. 

Mentre tutti questi pensieri mi attraversano la testa, un rumore mi fa sussultare: è la macchina del 

caffè in cucina, che sta preparandomi il primo espresso della giornata. Altra stranezza: se non ho 

puntato la sveglia, di certo non ho programmato nessun caffè per le otto del mattino, con il rischio 

quasi certo di trovarlo gelato. Peraltro non sono un grande fan della caffeina, che in genere mi 

serve solo per digerire meglio i periodi più duri in ufficio, o a mandare giù qualche cena di 

luculliana memoria. Non sono neanche sicuro di avere ancora le cialde. È il momento di alzarsi, 

penso. Mi infilo le pantofole ed entro in cucina. Non era un’impressione, c’è proprio una tazza di 

caffè che mi aspetta. Sto cercando delle ipotesi razionali che possano spiegare chi abbia settato la 

macchina a quell’ora, e penso che il liquido contenuto nella tazza possa darmi una mano. Lo 

mando giù in un’unica sorsata, senza zucchero né altri compromessi. Il caffè l’ho sempre visto 

come una medicina. O una droga, se volete. Fatto sta che mi sembra stupido prendere un farmaco 

con aggiunta di zucchero come quando ero un poppante o peggio mischiare i cristalli di zucchero 

alla coca quando faccio una tirata. Non che succeda spesso, sia chiaro. Ma è capitato quando 

lavoravo per Goldman, un paio di volte. Dicevano che era un rito di passaggio. Beh, in 

quell’occasione l’ho presa senza mischiarla, o addolcirla. E mi ha fatto male il naso una settimana. 

Comunque, ora che il misterioso caffè si trova in un punto imprecisato del mio apparato digerente, 

le cose forse sono più chiare. Sul divano del salotto c’è un perizoma raffigurante la bandiera 

inglese. Di Giulia, ovviamente. Ieri non ho fatto tardi da solo, e il risultato è un leggero mal di testa, 

un buffo capo di biancheria intima femminile che farebbe arrossire tutta la corte di Elisabetta II e 

un caffè che mi sveglia almeno due ore prima di ciò che mi meritavo. Gentile da parte sua, penso 

comunque. Non era certo la ragazza che avrei voluto passasse qualche ora con me la sera prima. 

Non fraintendetemi, è molto dolce. Ma la mia testa è rivolta altrove, ma questo tenetevelo per 

voi. Beh, risolto il primo mistero di giornata (e ultimo, immagino) penso di meritarmi un 

telegiornale del mattino. Accendo il televisore e lo scenario è desolante. Nessun segnale, nessun 

canale. Qualche oscuro problema che io, analista finanziario, di certo non comprenderei. Inutile 

fare ipotesi, per il momento. Spengo e torno in camera da letto, e apro la grande finestra che da 

sulla centralissima via Torino. Sono abituato a passare i finesettimana a Milano, ormai, e non sono 

particolarmente stupito di vedere la strada vuota. Nonostante sia davvero vuota. Il cielo è grigio, e 

in giro non c’è anima viva. Letteralmente.

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