Sono seduta sull’autobus, quarta fila a destra. Oggi ho voglia di dormire. Nel lettore-cd gira, per l’ennesima volta, “Fallen”, degli Evanescence. Una canzone salta e rallenta. Non ci credo! Si stanno già scaricando le batterie! Non oggi… per favore! È il primo giorno di scuola, non posso cominciarlo senza musica!
Giusto, il primo giorno di scuola… Quest’anno ho gli esami di terza media. Cosa scrivo nella tesina? Che argomento posso scegliere? Non sono ancora arrivata a scuola e sto già pensando alla tesina? Sono fuori come un geranio su un balcone!
L’autobus passa davanti alla casa dei miei nonni. C’è il nonno! Lo saluto con la mano e lui mi fa segno che ci vediamo questa sera.
Prima fermata. Salgono quelle due fagiane. Un altro anno con loro. Incubo!Stai calma. Hai ancora due canzoni di tempo prima che salga Lui. Mi ero dimenticata che quest’anno ci sarà ancora. Speriamo non cominci subito a prendermi a pugni. Non ce la farei.
L’autobus si ferma in curva.Che succede? Si è già rotto anche questo nuovo? La portiera si apre.
Un istante e una testa biondiccia svetta oltre i sedili Quando vedo anche il resto mi pietrifico. In piedi, quella ragazza, con la testa arriva quasi a sfiorare il tettuccio dell’autobus. Lei avanza di qualche passo e si siede nel sedile dietro il mio.Inizio a sudare freddo. Se questa si accorda con Lui e comincia a picchiarmi mi pianta in terra come un chiodo. Ma quanto è alta? Io seduta non esco nemmeno dallo schienale del sedile… e questa in piedi è alta come due schienali! Calma! Non la conosci. Non parlarci. Non farla arrabbiare e andrà tutto bene.
Spero solo che Quello oggi non sia già in vene di menare.
Arriviamo alla fermata successiva. So già che salirà anche Lui. Velocemente mi metto con la schiena contro il finestrino, nascondo il lettore cd, che è ancora vivo,tra le gambe e punto i piedi sul bracciolo centrale. Sono talmente piccola che, in questa posizione, dovrà sicuramente allungarsi tra i sedili per colpirmi. Speriamo che Angelo lo veda… ok. Battuta cretina. Angelo a mala pena vede il volante e gli incroci!
Sta arrivando. Meglio una gamba che il braccio o lo stomaco.. Lui è di fronte a me. Ghigna. Fa per avvicinarsi, poi si ferma. Guarda la ragazza dietro di me, è indeciso.
Lei lo fissa e dice qualcosa che non sento per via della musica… e Lui se ne va! Dio non mi ha picchiata!
Mi sollevo un po’ dalla posizione rannicchiata e allungo le gambe. Sbircio oltre il sedile, o meglio, mi ci arrampico, per capire.
SBAM! Un colpo al piede sinistro.
Lui corre in fondo all’autobus, mentre la ragazza si erge in tutta la sua altezza “seduta” e lo segue con gli occhi. Sì! Solo un piede! Per oggi sono salva!Recupero il lettore cd. Mi rannicchio di nuovo e faccio partire la canzone. Lei mi guarda, sembra preoccupata e io le sorrido. Quando si volta la spio dallo spazio tra i due sedili, mentre guarda fuori dal finestrino.
Non è bellissima ma è carina. Chissà se sarà in classe con me o con Lui. Troppo alta per essere una primina.
Guardo anche io fuori dal finestrino. In mezzo ai campi c’è una vecchia colombaia abbandonata. La guardo tutte le mattine, sperando un giorno di poterci vivere.
«Casetta maledetta!»«Casetta maledetta!»
Il rumore dell’autobus è alle stelle, ma noi urliamo incuranti di tutti gli altri.
«L’ho vista prima io!»
Lei mi guarda e ribatte scettica.: «Come? Dalla mia prospettiva si vede prima! Sono più in alto!»
«Ehi! Lerciolas! Non ci vedi solo tu!»
«Ma va! Aragost in miniatura!»
Cominciamo a ridere come due oche.
Lei era davvero una primina. Se non l’avessi vista in mezzo a tutti quei ragazzini di I^ non cii avrei creduto.
 ***
Le vacanze di Natale iniziano tra una settimana e io dovrò cominciare a scrivere la mia tesina sul Risorgimento, ma ci siamo accordate per vederci.
Lei disegna divinamente e ha bisogno di una mano colorare un disegno in A3 di un branco di cavalli. Ho provato a spiegarle che non era una buona idea, che disegno da schifo e coloro anche peggio. Niente! Almeno avremo una scusa per vederci e fare due chiacchiere. Se ci penso è assurdo. La prima vera amica che ho è circa 30 cm più alta di me, eppure è come se fossimo la stessa persona…più o meno.
Abbiamo iniziato a conoscerci quando la signora, che gestisce il bar della scuola, ha lasciato che mi desse una mano sul bancone della caramelle e degli snack, durante la ricreazione e la pausa pranzo.
Credevo che, alta come è, non avrebbe avuto problemi a destreggiarsi un quel mare di birilli chiassosi che sono i ragazzi delle medie. Se non ci fossi stata io, quel giorno dei gelati, sarebbe andata ne panico più totale, e quella mandria di cuccioli casinisti si sarebbe buttata con la testa nel freezer.
La regola dei gelati è semplice. Se sei un cliente, tieni le mani a posto e aspetta che ti servano.
Come sempre, ogni volta che si apre il freezer, qualcuno ci mette dentro le mani e, a volte, capita che si prendano i gelati da soli e se ne vadano per la propria strada senza pagare.
Io stavo servendo gli insegnanti al banco del caffè, quando mi sono voltata e l’ho vista in difficoltà. La stavano chiamando, insultando e volevano essere serviti tutti, in fretta. Lei era nel panico più totale. Ho appoggiato l’ultimo caffè sul piano in marmo, ho messo nella cassa i soldi e sono andata ad aiutarla. Lei svettava su tutti e stava li ferma senza sapere che pesci pigliare.
Qualcuno aveva già le mani nel freezer e rovistava in cerca del proprio dolcetto dopo pranzo.
Piccola come sono nessuno mi ha visto e con un colpo secco quattro mani sono rimaste intrappolate nello sportello. Lei ha fatto un salto indietro e io tenevo fermamente la mano sul mio oggetto di tortura preferito.
I quattro proprietari della mani mi hanno guardata sconvolti, non aspettandosi che una nanetta come me potesse fare una cosa simile.
Senza fretta ho agguantato il cartello con la regola dei gelati, sbattendolo con forza sullo sportello.
«Non avete ancora imparato a leggere? Devo sillabarvi quello che c’è scritto sul cartello?"
Tutti fecero un passo indietro e io liberai le mani dei quattro idioti in prima fila.
«Bene. Chi vuole le caramelle le chiede, EDUCATAMENTE, a Lei. Il primo che si lamenta esce di qui a mani vuote! Per tutto il resto chiedete a me.»
Il servizio al bar ricominciò come al solito, incasinato, ma pacifico e Lei si calmò abbastanza da sussurrarmi un “Grazie” a mezza voce, mentre saettava da una parte all’altra del bancone per servire le caramelle. Perché non ho fatto tutto io? Semplice. Dalla mia prospettiva, potevo vedere solo se le caramelle sul fondo della scatole erano ammuffite o no. Più in su non arrivavo.
 ***
Sono passati diversi anni da quando io e Lei ci siamo conosciute, ormai la nostra amicizia è una repubblica basata sulla scambio di vestiti (ovviamente solo magliette e gonne corte), sulle serate cinema e le serate sushi. Non devo però dimenticare tutte le volte che ci siamo telefonate a vicenda, per risollevarci il morale. Lei rassicurava me quando una storia andava male e io la ascoltavo, quando la sua altezza diventava un limite nel socializzare con le altre ragazze.
Forse per invidia, forse per pura e semplice crudeltà femminile, ho passato il mio secondo anno di università parlando con Lei al telefono quasi ogni sera.
«Ma cosa stai dicendo!? Ma sei impazzita per caso!? Vorresti buttare cinque anni di scuola solo per un branco di Fagiane Giulive che ti fanno delle battute miserabili? Ti rendi conto che se muovi un braccio, quelle volano fuori dalla finestra come post-it!»
«Mi dispiace. Ma io non ho il tuo carattere. Quando sono lì non riesco a rispondere.»
Altro singhiozzo, altro attacco di pianto. Dio quanto vorrei essere con lei adesso, o almeno durante un giorno di scuola e farle vedere come si risponde a certe creaturine senza sugo come quelle!
Farebbero la gioia del mio cervello. Si sentirebbe un dio in mezzo a quella massa di oche truccate e levigate senza un neurone che vada d’accordo con l’altro.
«Senti. Sabato torni a casa. Ti veniamo a prendere e andiamo a farci una super cena di sushi, va bene? Così ne parliamo e ti sfoghi. Tu, però, fammi un favore domani. La prima che apre bocca, insultala a priori. Poi vediamo come va.»
«Ok. Ma se si offendono e rompono di più?»
«Merda ma avranno un punto debole queste benedette ragazze. Non saranno perfette! Non possono essere belle, proporzionate, intelligenti, raffinate e impeccabili!»
«Si. Qualche difetto ce l’hanno però…»
«Però cosa!? Fallo notare! Se loro possono permettersi di farlo con te, perché hanno malauguratamente il dono della parola, fallo pure tu!»
«Ma cosa devo dire?»Sbuffo per l’ennesima volta, spazientita dalla sua dolcezza e dal suo non voler trovare
i difetti negli altri.
«Dalla tua elevata prospettiva non vedi nulla? Un po’ troppa trasparenza nei capelli, i pidocchi, la ricrescita, una tinta fatta male, dei giganteschi brufoli in mezzo al cranio… non lo so… qualunque cosa! Non devi offendere per il gusto di farlo. Devi mettere in atto una legittima difesa. Se poi dalle parole si passa ai fatti, tanto meglio! Sei pure avvantaggiata!»
«Ma tu sei capace… io no!»
«Non c’è nulla da imparare. Fai come loro. Dai fiato alle trombe! La prima cosa che ti viene in mente, sensata per favore, dilla!»
«Ok! Allora ci vediamo sabato?»
«Si bella ci vediamo sabato. E vedi di rispondere come si deve! Anticipale! Punzecchiale ancora quando salgono sull’autobus con gli occhi assonnati!»
Chiudo la telefonata. Sono le 23:00 passate. Domani ho un esame, ma non potevo non rispondere. Dopo quello che ho passato io, devo almeno provare a farla reagire.
A quanto pare essere Davide o essere Golia non fa differenza. La differenza sta sempre in cima, in quella parte del corpo che, sia più in alto o più in basso, dovrebbe distinguerci dagli animali e, a volte, averla posizionata troppo in alto non permette al sangue di circolare e far funzionare il cervello.
In riferimento a certi stangoni, acuti come degli ottusangoli, già me lo vedo io, il sangue, che parte dal cuore guarda in su, verso i neuroni.
Si mette le mani davanti agli occhi e scruta l’orizzonte, accecato dalla luce che filtra dagli occhi. Fissa quelle specie di ricci aggrovigliati e trema all’idea di fare tutta quella strada in salita, senza nemmeno la certezza che poi quelli funzionino. Allora che fa? Si volta e va verso il basso, la discesa è più facile e la risalita meno complessa perché sarà un carico a vuoto di ossigeno. Ripassa dal cuore e, alla fine, si arrende e decide di andare anche verso i neuroni.
In noi piccoletti, invece, il sangue, può essere anche pigro tanto, andare verso l’alto o andare verso il basso cosa cambia? La distanza è sempre quella. Credo sia per questo che ho sempre i piedi freddi.

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