Resistere per cinque giorni in maniera impeccabile e poi al primo incontro con la  realtà cedere inevitabilmente. Eppure i pensieri e le sensazioni non erano diverse dal solito, il livello di difficoltà mi pare fosse lo stesso. Resistere poi è quello che mi sono sentito di fare , poi da cosa e del perché non lo so nemmeno io.

Ma questa volta mi sono promesso di non trovare nei pensieri una risposta, il mondo del di fuori risulta irraggiungibile, non collegabile con quello di dentro.

Mi trovo su questo treno,  tre vagoni che trasportano una miriade di persone, sui vetri si formerebbe la condensa se non fosse per qualcuno che ha abbassato i finestrini. La gente è accalcata, ad alcuni viene chiesto di spostarsi e di fare spazio. Penso sia matematico che ad una certa distanza ossia quello dello spazio vitale l’individuo si senta minacciato e sospettoso, si crea della tensione. Ognuno porta con sè il sentimento che non può fare niente. Questo viaggio dura 25 minuti ma mi chiedo cosa succederebbe se durasse all’infinito. Ecco io sono all’infinito e dentro di me regna la consapevolezza della piú completa accettazione della situazione, la più completa arrendevolezza verso ogni forma di scelta o tentativo di scappare. Io sono quello piú convinto qua dentro che davvero non si possa fare niente per nessuno, talmente tanto che anche se fosse il piú becero degli individui a chiedermi di fare spazio io lo vorrei far salire in braccio, quello che è sicuro è che rifiuterei la mia comodità per concederla a chiunque.

Perché io di comodità veramente non ne trovo, quello che vedo io stando all’infinito è una cavità perfettamente sferica che racchiude in sè i dati della realtà, come se i dettagli di questo mondo si manifestassero in colori su questa mia sfera che per geometria rimane pur sempre perfetta, le profondità del mondo reale si proiettano sulla sua superficie facendomi quantomeno apprezzare le differenze. Ma se potessi, io mi lancerei verso questa superficie, perché ne vorrei vivere i dettagli, vivere come gli altri in maniera così spontanea e impeccabile.

Allora è tutta una scemenza e queste persone sanno di cosa parlo e per di piú sono arrivate alla stessa conclusione prima di me. Allora di nuovo mi guardo intorno e mi sento costretto a dare ragione a quello che piú di tutti si arrabbia con il prossimo perché sente che il suo spazio vitale è stato violato e che per semplice conseguenza comincia ad accusare i passeggeri, poi il macchinista che non fa il suo lavoro come deve e poi ovviamente lo stato e il sistema che come per causa primaria è il motivo di tutto il suo malessere. La tensione influenza le altre persone che si sentono in diritto di dire qualcosa pure loro, l’importante è che sia calzante per la situazione e che segua la stessa lunghezza d’onda. Poi osservo invece gli sguardi di chi ride alla situazione come se fosse comica, forse loro sanno di cosa parlo, oppure anche chi semplicemente se ne sta indifferente a tutto ciò con lo sguardo perso oltre il finestrino, forse loro meglio ancora, sí loro devono sapere assolutamente di cosa parlo. Ma io che sto all’infinito mi ergo al di sopra di tutto come il più alto fra gli alberi e colgo la bellezza in ognuno di questi individui cosí perfettamente incastrati sulla superficie della mia sfera, come api che svolgono il loro compito in maniera impeccabile e mi condanno per la mia serietà e perché sono un intruso in quella scena in quanto l’unico a essere consapevole della bellezza. Il viaggio finisce e la gente scende e io scendo come loro, mi muovo come loro, parlo come loro, ho lo sguardo come il loro, mi chiedo allora come farebbe un’essere come me a riconoscermi.

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