Lui riuscì appena a dirle che faceva colazione lì quasi ogni mattina, lasciando intendere che gli avrebbe fatto piacere rivederla, ma Amanda era già fuori dalla caffetteria.

Intanto aveva smesso di piovere. Guardò a destra e a sinistra alla ricerca di un taxi, e per fortuna ne trovò uno. Riuscì a raggiungere l’ufficio in tempo.

Circa due settimane dopo, Amanda era finalmente stesa sul letto della sua camera. Era il primo giorno libero dopo un periodo intenso di lavoro: due settimane passate quasi ininterrottamente alla scrivania per perfezionare la presentazione del progetto su cui lei e Lexie lavoravano da mesi. Per la prima volta dopo settimane, quella notte si era abbandonata a un sonno profondo, otto ore senza interruzioni, un piccolo lusso che non si concedeva da tempo.

Si godeva la tranquillità del sabato mattina attorcigliandosi distrattamente una ciocca di capelli tra le dita, quando improvvisamente sussultò. Si tirò su, poggiandosi sulle mani tese. Le era tornato in mente James. E quel cappuccino.

Sentì il cuore accelerare. Guardò l’orologio sul comodino: le 8:30. Se si fosse vestita in fretta, avrebbe potuto raggiungere la caffetteria in tempo. Magari, con un po’ di fortuna, James sarebbe stato lì.

Si preparò in tutta fretta e uscì di casa con passo svelto e un’insolita leggerezza. Scese le scale del palazzo quasi correndo e si immerse nel ritmo frenetico di New York, percorrendo le strade con l’energia con cui era abituata a muoversi tra gli impegni quotidiani. Ma stavolta non era il lavoro a guidarla: era un presentimento, un desiderio, un filo sottile che la tirava verso quella caffetteria.

Più si avvicinava, più sentiva il cuore battere forte — non per la velocità, ma per l’agitazione che le risaliva lungo le braccia. A pochi passi dall’ingresso, si fermò, fece un respiro profondo e riprese a camminare. Ma non era pronta a ciò che trovò.

Appena giunta davanti alla caffetteria, il cuore le crollò nel petto. Si sentì vacillare, come se qualcosa dentro di lei si fosse infranto. Il locale era chiuso. All’interno, alcuni operai stavano smontando il bancone, portando via sedie e tavoli.

Uno degli uomini stava uscendo quando Amanda lo fermò.

— Scusi, cos’è successo?

Lui, visibilmente infastidito, rispose a malapena.

— Non ne so nulla, signorina. Noi dobbiamo solo svuotare il posto.

E si allontanò senza aggiungere altro. Un altro lavoratore, che aveva assistito alla scena, si avvicinò con un’espressione più gentile. Amanda, intanto, fissava il pavimento, come se cercasse qualcosa da raccogliere.

— Il proprietario… è venuto a mancare circa una settimana fa — disse l’uomo, con tono pacato. — I figli hanno deciso di vendere. Qui aprirà una libreria, pare.

Amanda annuì lentamente, incapace di rispondere. Si voltò e si avviò verso casa con passo lento, stanco. Camminava come sospesa, urtata da passanti che la invitavano a spostarsi con fastidio, ma lei non reagiva. Lo sguardo vagava tra la folla, come se stesse cercando un volto o, meglio, quegli occhi chiari e gentili che aveva incrociato solo una volta ma che non riusciva a dimenticare.

Nei giorni e nei mesi seguenti, Amanda aveva preso l’abitudine di andare al lavoro a piedi, o comunque di non prendere mai un taxi prima di essere passata davanti a quella libreria. Come se percorrere quella strada fosse l’unico modo per mantenere vivo il ricordo di quella mattina — ormai lontana quasi un anno.

Ogni volta che passava davanti alla vetrina del nuovo locale, rallentava il passo. Il rimorso le si stringeva in petto: avrebbe voluto fermarsi quel giorno, restare un po’ di più, dire qualcosa in più. Invece, assorbita dal lavoro, era scappata via, convinta che l’avrebbe rivisto sicuramente. Mai come allora aveva capito quanto i momenti potessero essere fugaci, e quanto la vita fosse capace di sorprendere, persino stravolgere, i piani che si danno per scontati.

Un giorno, mentre era in ritardo per una riunione importante, camminava più in fretta del solito. Parlava al telefono e controllava l’orologio a ogni passo, sperando che le lancette si potessero magicamente fermare o tornare indietro. Passò davanti alla libreria quasi senza guardarla, ma qualcosa, un dettaglio nella vetrina, la costrinse a fermarsi.

Fece qualche passo indietro, ignorando l’ora e chiunque la stesse aspettando in ufficio.

In vetrina c’era una serie di libri. La copertina raffigurava una tazza fumante, il vapore che si alzava dal bordo suggeriva calore e intimità. Amanda sgranò gli occhi. L’autore era James Brown.

Era in ritardo, ma non ci pensò due volte. Si voltò, afferrò la maniglia della porta della libreria ed entrò, incurante delle possibili ripercussioni sul lavoro. Seguì d’istinto l’impulso che la guidava, attraversò il locale e si diresse verso lo scaffale dove aveva visto il libro in vetrina.

Il titolo era semplice: Lei.

Inspirò profondamente e, con un gesto istintivo, accarezzò la copertina con le dita. Il cuore le martellava nel petto. Aprì il libro e iniziò a sfogliarlo. Dopo poche pagine, si ritrovò a dover sedersi: le mani le tremavano e sentiva il cuore in gola. Non aveva dubbi. La protagonista... era lei.

La conferma arrivò presto: la scena della caffetteria, il cappuccino, la pioggia. Era tutto lì, esattamente come lo ricordava. Continuò a leggere, sorridendo quando scoprì che, secondo James, dopo aver bevuto il cappuccino le erano rimasti i segni della schiuma sulle labbra. E si commosse quando lesse la dolcezza con cui lui descriveva quell’incontro: i suoi lineamenti delicati, lo sguardo luminoso, la sorpresa e la tenerezza nel vederla quella mattina, seduta al bancone.

Chiuse il libro, si abbandonò allo schienale della poltrona e lo strinse al petto. Fu allora che notò, affissa al muro accanto, una locandina:

"James Brown – Presentazione del libro Lei e firmacopie – Venerdì ore 17:00, presso questa libreria".

Sorrise. Quando si alzò, le gambe le tremavano. Comprò il libro e uscì con un'emozione nuova che le pulsava dentro.

— James, sta' tranquillo — disse il manager, cercando di sistemargli i polsini della giacca, mentre lui camminava avanti e indietro nella stanza, visibilmente nervoso.

— Quante persone ci sono? — chiese James, senza fermarsi.

— Non molte — mentì il manager, sapendo bene che la sala era colma, molto più di quanto volesse fargli credere.

Posò le mani sulle spalle di James e aggiunse:

— È il tuo momento di gloria, te lo sei meritato.

James fece un lungo respiro. Poi, tra gli applausi della folla, si diresse verso il banco con il microfono.

Amanda arrivò in ritardo e trovò posto in fondo alla sala, proprio mentre la presentazione era già iniziata. Lo vide. E provò un tuffo al cuore. Era davvero lui. Per quanto tutto l’avesse fatto sperare, una parte di lei aveva temuto di essersi sbagliata. Ma non c’erano dubbi: era James.

Ascoltò ogni parola, rapita. Alla fine, fu aperto il momento delle domande. Amanda, con un coraggio che non sapeva di avere, alzò la mano.

Tutti si voltarono verso di lei.

 

 

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