Arrivarono separatamente all'appuntamento. La periferia nord di Buenos Aires a quell'ora tarda brulicava di persone indaffarate, soprattutto, alla ricerca di un locale. Per divertirsi, o forse, per rendere meno amara la solitudine.  Gente umile, impiegati, operai. Uomini in doppio petto, ma quelli, a dir la verità, erano pochi. Una varia umanità che si consolava con un pò di lieve stordimento, cullati e riscaldati, in quella feroce notte invernale, dalle musiche e dalle tipiche sonorità porteñe. Il locale pareva assonnato. Sopito negli effluvi di aromi dolciastri: dulce de leches e churros la facevano da padrona. Mate e abbondanti e corroboranti pinte di cerveza venivano assorbite dai pochi e noti astanti. Lei si presentò con una puntualità disarmante. Venne accompagnata su di una lussuosa berlina. Strideva, e molto, con le poche utilitarie parcheggiate all'esterno. Venne immediatamente notata. Osservata. E ammirata, perchè no: elegante, raffinata. I suoi capelli lisci e biondi erano nobilmente raccolti sul retro. L'aderenza del vestito color del fuoco, rendeva poi, omaggio al suo corpo perfettamente equilibrato. Guardandosi attorno notò alcuni strumenti musicali: una chitarra classica, un violino e un bandoneon accuratamente posizionati nei pressi del piccolo palchetto. Un mixer, senza particolari ambizioni, occupava anch'esso uno spazio a destra del proscenio. Ordinò un mate. E attese. Passarano i minuti. Parevano eterni. Ricordò precisamente il giorno di alcuni anni prima; un giorno importante. Decisivo. In quello stesso locale si abbracciarono la prima volta. In quel medesimo luogo, sempre per la prima volta, le loro labbra si sfiorarono. Lì, sempre lì, ballarono, avvinghiati, in un tango che a loro parve infinito, arrivando oltre i confini del tempo. Sfiorando mondi inesplorati. Si amarono ai ritmi di una milonga, unendo i loro corpi madidi, per poi rincorrersi, con gli sguardi. E sfiniti giocarono ad amarsi. Come adolescenti. Lei pensava, ricordava tutto questo. Lei conosceva e sapeva: quella sarebbe stata l'ultima volta. Oltre non sarebbe stato possibile. La porta del bar si aprì con il solito e indimenticato cigolio. Anch'esso parte integrante dei loro ricordi. Lui entrò.  Lui la cercò. Lui sapeva. Aveva la certezza della sua presenza; riuscì a cogliere in un breve attimo il suo profumo: come avrebbe potuto non riconoscerlo. Guardandosi attorno si rese conto che all'interno erano poche le persone. Cosa importante: del tutto anonime e sconosciute. Nel momento esatto in cui i loro sguardi si incrociarono, magneticamente, si avvicinarono. Dapprima con malcelata insicurezza; successivamente approcciarono l'un l'altra con un timidissimo sorriso. Arrivò al suo tavolo. Con la mano le sfiorò la guancia, delicatamente. Lei lo lasciò fare; anzi trattenne quella carezza: sapeva in cuor suo quanto l'avrebbe agognata, desiderata un giorno. Quanto avrebbe voluto portarsela con se. Per sempre. I minuti erano contati, quell'incontro fugace doveva e sarebbe stato obbligatoriamente breve. Il tempo di una canzone. Il tempo della loro canzone. Quella che aveva permesso il loro incontro, anni addietro. Il tempo, breve, di un tango. L'ultimo che avrebbero potuto danzare. Nulla si dissero. Bastavano i loro occhi per trasmettere ogni singola emozione. Quello era, e sarebbe stata sufficiente. Non necessitavano di null'altro. Il palco s'illuminò, dapprima fiocamente, poi le luci di scena inondarono quei pochi metri quadrati; quella pedana che sarebbe stata l'ultimo vero atto d'intimità della loro vita. La musica prese il soppravvento; un bandoneon introdusse il primo iniziale moto; un pianoforte, poi, a corroborare. E un violino a riscaldare i loro corpi, le loro anime. Adios nonino si diffuse dalle casse, amabilmente posizionate, quasi a dare un effetto quadrifonico. Rendendo l'atmosfera unica e irripetibile. Si fusero in un unico, inscindibile abbraccio; lei roteò con il corpo; lui conduceva con maestria. Lei si lasciava guidare. Totale fiducia di due esseri uniti come in un solo corpo; trascinati dalle sonorità e dalle malinconiche essenze di quell'ultima milonga. Scivolava via quella canzone, e con essa,  si dissolvevano i loro sogni. I pochi clienti del locale ebbero la certezza che quel ballo fosse anche per loro. Forse, era anche il loro. Il loro, ultimo, ballo. 

Si discostarono. A fatica. Continuavano in ogni caso a rimanere in silenzio. Le pupille, gli occhi, il cuore, le mani. Ogni singola molecola. Tutti i loro atomi. Le due anime. Era un tutt'uno. L'infinito che diviene realtà. L'infinito che trasmuta l'attimo, rendendolo eterno.

Si spensero le luci. E con esse, anche le loro speranze. Lei rapidamente si diresse all'uscita: la porta, come solito cigolò. Non si voltò mai indietro. Non ve n'era bisogno. Lei aveva un futuro innanzi, un futuro da principessa, prima, da regina poi... Lui, semplicemente, smise di sognare.

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