'Il viaggio non è quello che scompiglia i capelli, fa vedere posti nuovi o abbronza la pelle, il vero viaggio ti segna il viso, i capelli li imbianca ed i posti te li fa entrare dentro'.

Rileggeva spesso quelle frasi Raul, ogni volta che decideva di ripartire, di trovare qualcos'altro. Si portava dietro la lettera ben piegata nella busta, stirandola con attenzione ogni volta che la sfilava dai lembi ormai ingialliti. Era l'ultimo monito che gli aveva lasciato suo nonno, l'uomo che gli aveva fatto da padre quando il suo era partito per chissà dove lasciandolo a soli sette anni.

Se lo ricordava poco lui suo padre, un tizio alto e goffo che si trascinava per casa ondeggiando sulle gambe lunghe e con la cicca sempre tra le labbra. Più che ricordi, i suoi, erano un miscuglio tra i sentito dire e alcune sensazioni ben chiare. Che fosse uno scansafatiche, un irresponsabile e un delinquente erano tutte certezze che sibilavano tra i denti di parenti e amici, dette con l'occhio attento perché il bambino non sentisse. Alcuni meno rispettosi, invece, parlavano liberamente non interessandosi della sua presenza, certi che 'tanto è piccolo e non capisce'. Ma lui capiva, sentiva e capiva tutto. Ognuna di quelle cattiverie, fondata o meno, aveva sempre tentato di storpiare quel po' di memoria che gli era rimasta, insozzandola di calunnia. Raul però non aveva mai voluto dare ascolto alle malelingue, nonostante avesse visto sua madre piangere, crollare sotto il peso dell'abbandono e farsi carico da sola del peso della sua crescita, non aveva mai creduto che suo padre fosse cattivo. Era un'anima libera lui, un nomade. La sua donna era rimasta incinta e lui era rimasto intrappolato. Ci aveva provato a fare il marito e il padre, ma alla fine non aveva retto ed aveva mollato tutto. Eppure Raul si ricordava di un uomo buono, delle sue braccia forti che lo facevano girare in tondo fino perdere fiato, dei racconti sui posti bellissimi che aveva visto e di quell'odore misto di polvere e libertà che gli si si era appiccicato addosso. Lo ricordava come un padre attento ed un uomo innamorato, ma anche come un leone in gabbia. “Io non ho radici Raul, tu sei l'unica cosa che mi tiene ancora qui ma io sono un cittadino del mondo. La mia casa è il vento, il mio letto l'erba e la mia coperta il cielo”. Questo gli diceva quando gli raccontava dell'India o dell'Africa, quando i suoi occhi brillavano così tanto che avrebbero potuto illuminare la notte più buia. E aggiungeva sempre: “non so quanto ancora mi fermerò con te, non so quanto ancora potrò resistere. Ti voglio bene, tu sei la mia unica radice, ovunque sarò e ovunque sarai. Non devi dimenticarlo mai, intesi?” E lui annuiva e suo padre annuiva e si abbracciavano.

Raul non aveva mai dimenticato quelle parole, anche quando gli dicevano il contrario, anche quando gli imponevano di aprire gli occhi, lui aveva sempre visto l'uomo che era e non quello che avrebbe dovuto essere. Sua madre non gliene faceva una colpa ed era l'unica. Quando suo marito era andato via, senza troppi preamboli e con solo uno zaino sulle spalle, aveva guardato Raul e gli aveva detto: “dovevamo aspettarcelo”. Poi aveva pianto, attirato (suo malgrado) la pietà di tutti e scatenato le ire più furibonde dei moralisti quando cercava di giustificarlo in qualche modo. Non era vita per lui quella, lei lo sapeva, lui lo sapeva, tutti gli altri facevano finta di non capire. O forse non volevano capire.

Così l'aveva cresciuto suo nonno, un uomo tutto d'un pezzo che cercava di riparare come poteva alla mancanza della figura paterna. Anche se non nascondeva affatto il disappunto per uomini di quello stampo, non aveva mai avuto parole troppo crudeli nei confronti del padre, soprattutto da quando aveva notato la stessa impronta nel carattere di Raul. Quella voglia di esplorare, di conoscere, di sapere. La smania nelle scarpe e il desiderio di attraversare orizzonti sempre nuovi, di spostarli ogni volta un po' più in là. Non appena riusciva a racimolare qualche risparmio partiva, pur sapendo che avrebbe dato un dispiacere alla madre non poteva farne a meno. Non era facile per lei vedere l'unico figlio andarsene via, come non era stato facile veder fuggire il suo amore, ma come aveva capito allora, comprendeva adesso. Raul non riusciva a stare fermo in un posto per troppo tempo, la sua stessa natura glielo impediva, ce l'aveva nel DNA. Tutti lo sapevano bene e, mentre molti continuavano imperterriti nel proprio rosario di maligni borbottii, chi lo amava veramente non poteva far altro che salutarlo ogni volta che partiva e aspettare il suo ritorno. A volte stava via solo qualche giorno, a volte settimane o mesi. Lavorando come poteva, dormendo dove voleva, entrando in contatto con il resto del mondo nel modo più umile possibile. In poco più di dieci anni aveva calpestato il suolo di tutti i continenti, attraversato oceani e deserti, ma comunque dormito sempre sotto le stesse stelle.

I ritorni a casa erano diventati sempre più rari nel tempo, l'ultimo era stato quasi due anni e mezzo prima, per i funerali di suo nonno. Il giorno dopo era ripartito e non aveva ancora fatto ritorno. In sella alla moto e con la lettera in tasca aveva salutato sua madre, baciato le sue lacrime ed era tornato all'unica vita che poteva vivere.

“Quando avrai bisogno di me correrò, tu sei la mia radice” le aveva sussurrato all'orecchio prima di partire e lei lo aveva stretto forte, certa che lo avrebbe fatto.

I capelli non erano ancora bianchi ed il viso era piuttosto giovane, ma di luoghi che gli erano rimasti dentro aveva l'anima piena. Le ultime parole di suo nonno erano state di libertà e comprensione ed anche un grande insegnamento. Nella lettera gli spiegava che aveva compreso appieno che tutti gli uomini sono diversi e che, in fondo, ognuno vive la propria avventura da sé. Per lui il vero viaggio era stato una vita stabile ed una famiglia felice, la sua casa, i suoi figli, lui. Quello era stato il cammino che lo aveva arricchito e reso felice. 'Ognuno ha il proprio percorso da compiere, che sia lungo migliaia di chilometri o pochi metri poco importa, quello che conta davvero è muovere ogni passo certi di volerlo fare. Il vero viaggio, Raul, ti porterà esattamente dove vorrai andare, per cui va' per la tua strada e trova te stesso'. E Raul lo faceva, seguiva le impronte che doveva ancora calpestare curioso di sapere dove lo avrebbero condotto, ingordo di qualsiasi avventura gli avrebbero riservato e certo che prima o poi lo avrebbero portato a completare il suo di viaggio.

 

 

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