Le mie estati di bambina sono trascorse insieme ai miei nonni Tina e Vittorio, mio fratello e i miei cugini in un villaggio di case chiamato Villaggio Italia, in cima ad una collina nella frazione di Cardana, un piccolo paese affacciato sul Lago Maggiore. Ripensando oggi a quelle estati mi rendo contodi come gli anni ottanta, che sembrano l’altro ieri, siano ormai così lontani e diversi e di come quegli anni, quelle estati, quella vita, siano stati importanti nella mia vita.
Vivevamo in una casa senza telefono, non perché fossimo particolarmente poveri o alternativi, ma perché evidentemente non se ne avvertiva il bisogno. Un paio di volte la settimana facevamo 50 metri a piedi e raggiungevamo la Trattoria del Sole, una trattoria ormai chiusa da anni ma nella quale era rimasto, funzionante, un telefono a gettoni che ci permetteva di chiamare a Milano mamma e papà. Finiti i gettoni eran finite le parole. Quelle che ci rimanevano in sospeso le rimettevamo in tasca e le tenevamo lì fino al venerdì pomeriggio, quando mamma e papà arrivavano e gliele avremmo dette a voce. Forse. Se le avremmo ricordate, altrimenti voleva dire che non erano importanti.
Due nonni per quattro nipoti. E pensate: tutto è sempre filato liscio anche senza aver letto manuali di psicomotricità, metodo Montessori, riviste specializzate. Nei miei ricordi che sì, sono di bambina, ma anche molto nitidi, i nonni non erano stressati; e non c’erano piatti pronti, catering e quattro salti in padella, cucinavano loro colazione, pranzo, merenda e cena. Curavano con maestria due giardini e un prolifico orto; lavavano i panni (e quando eravamo piccoli lavavano anche noi) e imbottigliavano la salsa. Pulivano casa e facevano la spesa. Ma solo il giovedì.Perché il giovedì, cascasse il mondo, era il giorno del mercato.
Andare al mercato oggi non è un avvenimento particolarmente straordinario: si prende e si va al mercato. A dire il vero mi sembra che sia anche fuori moda, fuori tempo. Aspettare un giorno ben preciso per far la spesa è anacronistico quando tutto è aperto tutti i giorni.
Ma allora era diverso; andare al mercato era un vero e proprio viaggio, nonostante fosse distante poco meno di tre chilometri.Partivamo intorno alle 8.00 e la formazione era composta da me, mio nonno Vittorio, il nonno Salvatore, la nonna Dilluccia e mio cugino Luca.
L’unico patentato era il nonno Salvatore che avendo ormai una certa età non prendeva la macchina con disinvoltura. Le sue guide erano centellinate:giovedì mercato ed eventuali emergenze. Aveva una 128 blu che se la vedeste adesso non ci fareste viaggiarenemmeno il vostro peggior nemico, figuriamoci i vostri nipotini.
Perché all’andata si andava anche bene; essendo la nostra casa in collina scendevamo e tutto sommato bastava che i freni reggessero. Il problema il era ritorno, quando carichi di borse con le provviste di una settimana dovevamo affrontare una salita in stile passo Pordoi e la 128 arrancava tremendamente. Un po' mi terrorizzava sentirla fare così tanta fatica in salita, pensavo che a un certo punto si sarebbe staccata dall’asfalto e ci saremmo rovinosamente cappottati all’indietro facendo andare frutta, biscotti e bottiglie di acqua gasata qua e là per tutto il varesotto. Per non parlare del fatto che parcheggiata al sole di luglio per un paio d’ore, all’interno della 128 si sviluppava un caldo torrido insopportabile, accentuato dai sedili in finta pelle che si attaccavano come sanguisughe ai nostre gambette nude in bermuda. Arrivati a casa dovevamo letteralmente scollarci dai sedili riempiendoci di chiazze rosse.
Ricordo il nonno Vittorio sopportare con stoicismo quella temperatura che forse non aveva sentito nemmeno a Tobruk durante la campagna d’Africa. Gocciolava silenzioso sulla camicia a maniche corte e non poteva nemmeno chiedere di accendere l’aria. Perché l’aria non c’era. Il sudore si fondeva al dopobarba di Cartier in un odore un po' acre, ma non fastidioso. Quello era il profumo del nonno e non vi dico cosa darei per sentirlo oggi anche solo per un paio di secondi.
Quel viaggio al mercato era il mio ponte verso il mondo. Un piccolo mondo, certo. Ma in quel paio d'ore in paese facevo il pieno di novità per tutta la settimana. La mia bancarella preferita era quella degli animali dove mi incantavo davanti a quelle coppie di pappagallini colorati, pesci rossi tristi e moribondi, criceti puzzolenti. Chissà, forse mi sembrava un piccolo zoo. Poi amavo quella dei giocattoli, quella dei teli mare e quella dei casalinghi. Ad ogni mia richiesta di acquisto il nonno diceva no e tirava dritto. Bisognava attenersi rigorosamente alla lista e a ciò che serviva, niente divagazioni, niente fuori programma.
I nonni non avevano il concetto di andare al mercato per svagarsi o fare shopping. Si andava al mercato per necessità quindi si evitavano accuratamente le altre, cioè tutte quelle che interessavano a me. Era semplicemente inconcepibile tornare a casa con un pesce rosso. Finito il giro ci si dirigeva verso il parcheggio e la temibile salita verso casa. Fino al giovedì seguente, che chissà quali novità avrebbe portato!
Forse tutto questa storia vi sembrerà un tantino insignificante, me ne rendo conto. Ho notato che ripensando agli avvenimenti successi nel passato, soprattutto se si tratta di un passato felice, si tende a mitizzare, ingigantire, abbellire, situazioni assolutamente normali. E' così. Ma io questa storia ve la volevo proprio raccontare, perché è fortissimo il desiderio di rendere un piccolo omaggio, ora che non ci sono più, a due degli artefici di questa mia felicità.

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