Dresda, 21 febbraio 2013
Il commissario Spiegel era presidiato dai giornalisti. Non era una situazione che gli piaceva; era per sua natura una persona ansiosa, ma trovandosi a dover indagare sui casi più spinosi della città, si era dovuto abituare alla pressione della stampa.
"Stupidi giornalisti", pensava il commissario, mentre andava incontro ai suoi boia "non considerano l'arte per tutto l'anno e si risvegliano quando scoppiano casi di questo tipo".
"Aghata Neuer, della ARD. Commissario, quali sono le sue prime impressioni sul caso? Ha già in mente una possibile ricostruzione del misfatto?"
"Solo ipotesi, signorina" rispose Spiegel, cercando di risultare calmo ed educato. "Il criminale deve essere entrato nel museo, approfittando del black out che ieri notte ha colpito la nostra città e disattivato l'intero impianto di sicurezza, e compiuto il gesto folle. Perché si tratta senza dubbio del gesto di un folle".
"Cosa ne sarà adesso del quadro?"
"Non sono un esperto di arte, signorina, ma una cosa so dirgliela: il quadro non è stato rubato, ma la "ragazza con la lettera" di Veermer non ha più la sua ragazza".
  Dresda, una sera di novembre, 1657
 Nonostante il periodo, la sera era godibile, e un giovane pittore venticinquenne dipingeva nella mansarda di casa sua.
"Sei bellissima" pensava il giovane, mentre dava le ultime pennellate alla sua opera. "Ti manca solamente la vita". Non poteva certo sapere che, alla sua opera, non mancava nemmeno quella. Diede l'ultima pennellata. Il suo quadro era bellissimo. Doveva farlo vedere alla sua amata.
"Catherine!" gridò, uscendo dalla camera, chiamando il nome della sua ragazza.
 Catherine? È dunque questo il mio nome? Mi piace. Però aspetta, ho qualcosa in mano. Cos'è? Sembra una lettera. Peccato che io non sappia leggere. E questa luce che arriva dalla finestra? Mi dà fastidio, ora la chiudo, ma... non riesco a muovermi, non so assolutamente come fare. Sono come una statua, ho delle braccia perfette, le gambe non so come siano. Riesco stentatamente a muovere le palpebre. Sento dei passi che vengono da fuori. Meglio tacere.
"Beh, amore? Che te ne pare?"
 "Jan, è bellissimo, credimi, davvero bellissimo".
Deve esserci qualcosa oltre la finestra! Se provo ad alzare lo sguardo, però, non riesco a vedere niente, posso solamente sentire quello che viene detto oltre quella finestra.
Da quel giorno, per oltre trecento anni
Ormai ho capito come funzionano le cose. Il mio mondo è tutto qui, in questa camera con questa finestra, le tende, e il lettino con la frutta sopra. Fuori, invece, c'è di tutto. Lo so perché è da trecento anni ormai che sento i discorsi dei vari uomini che prima mi spostano da un museo all'altro, e poi mi contemplano. Parlano di cose di cui io non ho mai sentito parlare, di cui io qui, rinchiusa nel mio universo, non potrò mai fare conoscenza. Parlano dell'amore, di baci rubati e sperati, cose che io non conoscerò mai, di amicizie, ma soprattutto parlano del tempo. Hanno paura del tempo che passa, affogano nella nostalgia, i loro ricordi li tormentano nei loro sogni. A volte li sento pronunciare cose tipo:"Vorrei che questo momento non finisse mai" oppure "quanto avrei voluto che quell'attimo non fosse mai terminato". Poveri pazzi. Non hanno idea di che cosa voglia dire non avere un passato, non avere ricordi, essere condannati a vivere un eterno momento, un'eterna staticità, un eterno nulla. Il tempo che passa è il miglior alleato dell'uomo.
 In questi anni, ha capito anche un'altra cosa. I nostri mondi non comunicano. Ho imparato a muovere le labbra, a parlare e a muovere un po'la testa. Una volta ho avuto l'imprudenza di compiere dei movimenti bruschi in loro presenza. Sapevo che c'erano perché sentivo le loro voci. Non si sono accorti di niente. Sono sicura che loro mi vedano come ero trecento anni fa, quando sono nata.
 Ho voglia di fuggire, ma non so come fare. Non riesco ancora a muovere le braccia, dopo trecento anni, e le gambe. Muovo solo altre parti del corpo. Ma un giorno, io ne sono sicura, quando riuscirò a muovere gli arti fuggirò nella realtà degli uomini.
Dresda, notte tra il 20 febbraio e il 21 febbraio 2013
Dall'altra parte non sento voci, non dev'esserci nessuno. In più, oggi sono riuscita finalmente a muovermi! E come mi muovevo! Avevo immaginato per anni questo momento, e pensavo che i miei movimenti sarebbero stati legati e difficili per molto tempo. In realtà è stato così solamente all'inizio. Mi muovevo lentamente, poi nella mia piccolissima camera sono riuscita persino a correre, a saltare sul letto, a ruotare le braccia velocemente. Credo sia giunto il momento di fare il grande salto nell'altro universo. Non posso più aspettare.
 "Allora è così" pensò Catherine. Immenso. Buio. Si voltò verso il quadro dal quale era uscita, e si accorse che era strappato, nella parte dove prima c'era il suo disegno. Prese la parte di tela che era caduta sul pavimento e corse via, e provò una sensazione bellissima, quella del vento che le scompiglia i capelli, quella di essere in movimento, quella di essere veramente viva. Quando arrivò di fronte a una vetrata, vi si gettò contro senza esitazioni; del resto, non poteva certo sapere che l'impatto sarebbe stato doloroso, e in qualche modo doveva pur fuggire.
 La piazza del museo era vuota. Non un passante, non una macchina, nulla, assolutamente nulla. Si chiese se quella fuga era valsa la pena, guardando lo scenario desolante che aveva di fronte a sé. Era una domanda stupida si disse. Lì, non aveva alcun limite. Sparì nella notte, e nessuno mai la conobbe come Catherine.
Svariati anni dopo
Ci ho provato, ci ho provato davvero con tutte le mie forze, ma non ci sono riuscita. Il mondo non era come me l'ero immaginato. Io sono un'opera d'arte, prima che una donna, e in quanto opera d'arte sono perfetta, nell'aspetto e nell'intimo. L'ho conosciuto, questo mondo, non è perfetto e io non sono riuscita ad adattarmici. Avrei dovuto dire addio alla mia bellezza, avrei dovuto dire addio alle mie idee, alle mie aspirazioni, per seguire quello che qualcun altro mi dettava. In questo modo mi sarei potuta adattare. Altro che baci, amori, amicizie. Ora capisco come mai gli uomini hanno tanta nostalgia dei bei momenti: perché ne vivono davvero pochi in proporzione alla loro vita. Prima pensavo che il tempo che passa fosse il miglior alleato dell'uomo. Ora non la penso più così. Da questa parte mi aspettavo un mondo buono, dinamico, sincero, sentimentale, e ho trovato esattamente l'opposto di quello che mi aspettavo. Mi trovo ora costretta a pormi una domanda: è meglio vivere come donna per un'ottantina d'anni o come opera d'arte per sempre?
  Dresda, 21 settembre 2019
 "Direttore, presto, venga!"
 Una guardia si era recata nell'ufficio del direttore del museo dove si trovava la Ragazza.
 "Cosa è successo?"
 "Un miracolo, una cosa inspiegabile, è incredibile!"
 Corsero entrambi nella sala dove si trovava il dipinto di Veermer.
 "Guardi" disse la guardia.
 "Oh mio Signore" esclamò incredulo il direttore.
 La Ragazza era esattamente là, dove sei anni prima qualcuno l'aveva strappata al suo quadro.

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