Il trucco era pesante, le mani esili, i capelli d'un biondo svampito, i denti bianchissimi, un tempestio d'oro sulle dita di entrambe le mani, una grande spilla sul risvolto sinistro della giacca, lo sguardo fisso e impietrito. Quell'amaro sul tavolo sembrava essersi stancato di aspettare.

Fuori era un via vai di gente, mani tra le mani, rumori, mormorii.

Il caffe' dove si era seduta era nel bel mezzo della piazza principale della città.  

Il cameriere sembrava indeciso, non sapeva se chiederle qualcosa o far finta di nulla. Ma poi rinunciò: ne aveva viste altre morire, poi risuscitare, pagare e andar via così come erano entrate.

Lei era seduta da almeno due ore.

"Un altro per favore!"  chiese voltando lo sguardo verso il bancone e senza capire se ci fosse qualcuno ad ascoltarla. Bevve il primo d'un fiato, con un gesto repentino della mano quasi fosse stata scossa da un lampo o da un'idea fulminante.

Le fu servito il secondo, lo guardò quasi con disprezzo, come a chiedersi "chi lo ha ordinato?".

Se ne scordò quasi subito. Continuo' a poggiare il mento sulla mano sinistra, come chi osserva incuriosito da dietro una finestra l'alba che arriva. Con l'altra mano stringeva il bicchiere, alto, riempito a tre quarti e come il primo si era quasi stancato di attendere.

Tra un sorso e l'altro passo' diverso tempo, ormai era diventata parte del locale che, data l'ora, tendeva a vuotarsi.

Il cameriere con l'ardire di un gatto, spostò una sedia, si tirò giù le maniche e chiese di poter sedere al suo tavolo. Un gesto quasi impercettibile del capo acconsentì alla richiesta.

"E' qui da almeno cinque ore, signora, tra un po' chiudiamo", era incuriosito e pettegolo, stanco ma desideroso di chiacchiere, non sapeva cosa lo attendesse.

"Sono entrata per cercare un po' di silenzio, era il primo luogo al caldo, ho aspettato che calasse il sole per trovarlo, adesso ho ciò che volevo cinque ore fa"

Il cameriere che in verita' pensava alla solita zitella sulla sessantina e ad una scena già vissuta, rimase sconvolto dall'eleganza e dal forbito linguaggio, tant'è che invece di sbuffare, alzarsi e tornare al bancone, la guardò e chiese:

"Di cosa si occupa? E' una giornalista? Forse l'ho gia' vista da qualche parte"

A questo punto un raggio di sole alle otto della sera emerse da quel volto buio e incupito :

"Sono certa tu mi abbia visto, forse hai anche ascoltato la mia voce, stretto le mie mani. Ero io che al mattino non ricordavi, ero io che cercavi e non vedevi"

Occhi spiritati, denti che mordevano il labbro inferiore, stupore e una risposta altrettanto d'istinto:

"Tu saresti il sogno di un anno? Saresti il sudore che mi sveglia tutte le notti?"

"Hai capito chi sono!"

Incredulo e spavaldo, ma col timore di aver letto un fondo di verita', replicò con un  vigore dettato dalla paura:

"Non puoi esser lei, hai un viso scavato da rughe e il doppio della sua eta'!"

"Volta lo sguardo verso il centro della piazza, sta passando qualcuno che conosci..."

Quasi cadde dalla sedia per il grande balzo che fece verso la vetrata, spalancò gli occhi, mise a fuoco e vide davvero la donna che ogni notte sognava!

D'impeto si girò indietro per chieder spiegazioni, ma il tavolino era vuoto, nessuna figura, nessun bicchiere.

Passarono pochi istanti dall'attimo in cui ricordava fosse successo il tutto.

Si svegliò sudato, si guardò attorno, si alzò e uscì per aprire il caffe.

 

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