Era ormai un bel po' che non lo vedevo. Non sapevo più niente, non mi scriveva o rispondeva più molto e sicuramente la cosa che mi aspettavo è che avesse supplito la mia mancanza con la presenza di qualcun'altra. Io pensavo sempre così. Pensavo che con lo sguardo e la foga con cui mangiava i miei occhi facesse la stessa cosa con tutte quelle che lo attraevano. Perché lui ha sete di tutto e come può non aver sete nel momento in cui gli si presenta una mano graziosa, una bocca che fa scoppiare una chewing-gum o una frangia che rende uno sguardo più coinvolgente? Le mie domande erano sempre quelle. Chi, come, dove avrebbe prima o poi toccato quella bocca, sfiorato quella sua schiena e stretto quei suoi capelli. Il pensiero mi faceva paura, inoltre sentivo di aver bisogno di pace.. quella pace che raggiungi solo se crei quel contatto tra la tua pelle e quella della restante metà della tua anima, nuda, calda, sangue che scorre. Avevo bisogno solo di quello in quel momento, per sentirmi almeno ancora viva. Non volevo parlargli, nemmeno vederlo e basta, volevo qualcosa che probabilmente ancora mi apparteneva. Perché si, credevo con sicurezza che io e quel pulviscolo di stelle fossimo legati da qualcosa di stretto, come se al mondo ci fosse un Fiore, un solo fiore rimasto di una specie molto rara, e noi fossimo i suoi stami e pistilli. 
Con quella convinzione gli scrissi se un giorno potevo andare a fare una vasca da lui, lui accolse la richiesta con entusiasmo anche se credevo che quell’entusiasmo fosse solo apparente. 
Dovevamo aspettare due settimane. Ok il tempo era lungo ma la mia voglia era talmente tanta, il mio bisogno talmente grande che avrei aspettato e resistito senza riserve. Dopo una settimana mi rendevo conto che sarebbe stata dura, perché non c’erano più contatti e non sapevo più se stavo facendo la cosa giusta. Versare benzina sul fuoco non è mai cosa prudente. Al diavolo la cosa giusta! Alla fine le settimane finirono e la domenica gli scrissi. “Ehi ciao, volevo solo sapere se potevi farmi quel favore”. Lui rispose che non sarebbe stato un favore e che se volevo potevo già andare il pomeriggio seguente. Io avevo il problema fisiologico più comune nelle donne, quindi glielo dissi, ma prese la cosa come solo lui sapeva prenderle, mi disse che per lui non c’era alcuna differenza. E quando ti dice una cosa stai certo che non può essere altro che la verità. Così andai, fumai prima di entrare, per allentare i nervi. I tempi ultimamente non erano dei migliori. Salii e come sempre trovai già la porta aperta. 
Lo guardai mi sorrise e io abbassai gli occhi. Da qui in avanti la questione scorse come se tutto fosse estremamente normale, come se tutto questo sarebbe dovuto succedere un giorno o l’altro, come se entrambi fossimo finalmente a casa. Quando torni a casa ti togli le scarpe, ti stendi sul divano, sai dove andare e sai cosa fare. È stato così. Ad aiutarci è stato anche Chico.. quel cane è comparso quando tutto era iniziato ed è sempre stato nel posto giusto al momento giusto. Non dico che il nostro destino sia dipeso da lui, ma ha dato una grossa mano a fare da tramite alle nostre menti. E anche quel giorno arrivai e mi corse incontro saltandomi addosso e scodinzolando come se mi dicesse “oh sei tu, finalmente sei tornata!”. E lo abbracciai come se stessi abbracciando lui. Era un modo per dire, si sono ancora qui, sono ancora io.
Andammo di sopra, aprimmo il rubinetto della vasca e aspettammo si riempisse. Frasi fine a sé stesse e gesti banali. In effetti non avevo niente da dire, nemmeno lui. Parlavano i miei piedi, che andavano su e giù dallo scalino, come un bambino che aspetta il suo zucchero filato al luna park, oppure i miei occhi che lo guardavano come si guarda un fratello. Prima che si riempisse del tutto la vasca, si spogliò. Lo faceva sempre prima di me quando io ero distratta, non so se perché si vergognasse (supposizione dubbia dato che sapeva che lo avrei guardato ugualmente) o perché voleva guardarmi meglio mentre lo facevo io. Non mi interessava più di tanto, per me poteva fare quel che voleva, se voleva guardarmi io ne ero felice. Non dico che non avrei nutrito un po’ di vergogna perché non so come ci si spoglia davanti a una persona (c’è un modo preciso?), ma comunque sarebbe stata minima. Io ovviamente mi spogliai in fretta e in modo del tutto goffo, dato che non avrei voluto sporcare niente. Entrai e mi misi di fronte a lui dall'altro lato della vasca; subito mi prese un brivido da quanto l’acqua era calda. Mi abituai. Era tutto estremamente perfetto; ogni volta che succedeva il mondo eravamo solo noi: io, lui, un fiore (si aveva portato un fiore) e l’acqua. L’unica cosa che ci importava in quegli istanti era il fatto che l’acqua fosse calda abbastanza. Fuori non c’era niente, universo, buio infinito, stelle lontane. Le carezze sulle gambe sembravano vento che sfiorava la pelle. Il colore rosso dei petali del fiore contrastava con la schiuma candida. Pura e semplice libidine. Il taglio dei suoi occhi non me l'ero dimenticato. Era per me come riconoscere la  trama delle mattonelle di casa. Mi guardava e io lo guardavo come fosse la cosa più naturale al mondo. Ci addormentammo con il mignoli stretti da una parte all’altra anche se dopo un po’ sentii che si staccavano. Ecco quello di cui avevo bisogno, l’avevo raggiunto. Pelle calda, nuda, sangue che scorre. A che servono le parole, ora. Io ho tutto. 
Si mosse di scatto e il movimento dell’acqua mi svegliò perché si era raffreddata. Riaprì il rubinetto e in un lampo tornò calda. Mi guardò ancora e si mise seduto, mi misi seduta anche io e come se un’energia inspiegabile ci chiamasse allungammo il collo e le nostre labbra si toccarono appena, piano, e poi il collo l’orecchio, estasi, piccole scosse di endorfina che partono da un punto e si dissolvono piano in tutto il corpo. Non c’era niente da fare, niente da aggiungere. Andava avanti così ed era giusto (era giusto?), mani che stringono i capelli, prendono il collo, sfiorano la schiena. E bocca che sussurra alle labbra cose, non erano parole, solo sensazioni. Il linguaggio che ci rovinava era quello delle parole, non sapevamo perché ma ogni volta era quello che rovinava tutto. L’unico che combaciava era questo, dei gesti. Sarebbe stato rischioso e lo sapevamo, ma non ci importava, infondo noi sapevamo che era normale così, e giusto. L’acqua tornò fredda un’altra volta, allora lo lavai e uscii. Lui come sempre stette un ancora un po’, per poi uscire. Quello che seguì fu soltanto un copia e incolla di quello che successe in vasca, ma senza l’acqua. Nient’altro che un qualcosa che non so come chiamare, forse posso rendervelo con un colore: rosso Borgogna
 

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