Il sole era sepolto da spessi strati di nuvole nere, non sarebbe riuscito a fare capolino e a illuminare una giornata che, fin dalle prime ore del mattino, prometteva solo pioggia. Il forte vento di maestrale stava già soffiando lungo le vie dell’immensa metropoli, percuotendo gli alberi che vedevano così privarsi delle ultime foglie già avvizzite da un precoce autunno. Anche le persone seguivano la scia delle foglie cadute dagli alberi, allo stesso modo, sembravano librarsi e fuggire dalle loro occupazioni precedenti per raggiungere un riparo sicuro.
Una scena simile era distinguibile anche nel grande parco che sorgeva nella parte centrale della città. Di solito molto frequentato, quel pomeriggio era, al contrario, svuotato da ogni presenza umana e, dopo il primo violento scroscio di pioggia, anche gli ultimi avventori, chiusi nei loro cappotti, potevano essere scorti allontanarsi in tutta fretta. Da un’eventuale fotografia scattata dall’alto, tuttavia, non poteva sfuggire la presenza di un uomo steso sul prato sotto la pioggia, non lontano dalla strada, ma piuttosto confuso nell’erba da non essere visto da alcun essere umano. L’uomo, dai capelli ricci già inzuppati d’acqua, era supino, appoggiato su un gomito, come se stesse prendendo il sole o come se si concedesse un momento di riposo.
“Ehi, tu che cos’hai da guardare? Vai via! Stai lì a osservarmi, che cos’ho che non va? E’ perché ho addosso questi vecchi stracci? E’ perché assomiglio a un barbone? Vai via! Non ti voglio vedere! –
Su un albero poco lontano dall’uomo un passerotto riusciva a scrutare l’uomo che gridava, sembrava che si rivolgesse proprio a quel piccolo volatile. Un cinguettio quasi di disappunto si udì tra gli scrosci della pioggia.
- E’ inutile che continui a fissarmi, via! Sei malvagio e meschino, voli sul mondo intero e non ti curi di noi uomini! Da lassù osservi ingiustizie, misfatti e delitti, ma non ti sei mai degnato di aiutarci. E io so che riesci a sentirmi! –
Il passerotto fu raggiunto da un altro esemplare suo simile, solo leggermente più grosso e dalle striature rossicce. I due cominciarono a cinguettare, come a commentare la stranezza di quell’umano steso sotto la pioggia. Egli aggrottò le sopracciglia e nuovamente inveì contro i due uccelli: era colpa loro se si trovava in quelle condizioni, senza un soldo e con quei vestiti vecchi e logori.
Anche un terzo passerotto si appollaiò mollemente su un ramo accanto agli altri due. Il loro canto, quasi corale, aumentò progressivamente di volume, finché uno dei tre si staccò dal ramo; piccoli battiti d’ali riuscirono a fendere il vento e la pioggia e condussero il passerotto sul capo dell’uomo, dove sostò per qualche secondo prima di spiccare nuovamente il volo verso la strada. L’uomo quasi emise un urlo e si voltò nella direzione dell’uccello, vide allora che un fuoristrada stava percorrendo la via in contromano. Dalla parte opposta, una donna in sella a una bicicletta rossa giungeva a tutta velocità. L’impatto fu violento e inevitabile, la donna balzò sul parabrezza dell’automobile e cadde con un tonfo sull'asfalto bagnato. Il fuoristrada si fermò, un uomo scese dal posto di guida, guardò la donna inerte, si voltò per assicurarsi che non ci fosse nessuno e, una volta risalito sfrecciò via speditamente.
L’uomo aveva visto l’intera scena, la pioggia battente confondeva, stemperando, le lacrime che già gli scorrevano sulle guance scavate. Sentiva che qualcosa di grave era successo, una strana e diversa ansia s’impadronì di lui, impedendogli di prendere qualsiasi decisione.
Le mille voci nella sua mente, però, come d’incanto, si placarono lasciando spazio solo al rumore della pioggia battente. La realtà che lo circondava gli sembrava meno sfocata, i contorni delle cose e delle persone più chiari e definiti; fu per lui quasi una liberazione e, per la prima volta da molto tempo, gli sembrava di essere cosciente e appagato di far parte del mondo che lo circondava. Come un albero, un uccello, un insetto o un filo d’erba sentiva di essere un organo vivente, una particella, in armonia con il resto del creato.
Era riuscito a prendere il numero di targa del fuoristrada e lo ripeteva nella sua mente, come una cantilena. Da lontano si udirono le sirene e in poco tempo l’uomo vide arrivare un’ambulanza e due volanti della polizia. Vide i poliziotti, con le loro divise inzuppate, fare domande alle persone presenti e a tutti i curiosi che nel frattempo si erano riversati in strada. Cominciò a urlare verso gli agenti, sbracciandosi per attirare la loro attenzione. Raccontò la sua verità; disse che gli uccelli osservano tutti noi dalla loro posizione privilegiata senza mai intervenire, e che, in realtà, riescono a capire e a sentire i nostri discorsi. Questa volta, però, uno di loro si era posato sulla sua testa avvisandolo di quello che stava avvenendo. Riferì anche il numero di targa che aveva memorizzato. Il poliziotto che lo stava interrogando, scosse la testa, chiuse il blocchetto contenente il verbale e gli voltò le spalle.
Poco dopo l’uomo s’inoltro di nuovo nel parco, si distese sull’erba, sotto la pioggia, e rimase in silenzio e in ascolto di altri suoni della natura.
 

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