La sveglia suonò al primo piano interno 11, alle sei, come sempre, ma il professore Rega non rispose al suo invito ad alzarsi. Aveva sessantacinque anni e quell’anno sarebbe andato in pensione. Insegnava lettere al liceo classico Giacomo Leopardi.

Se i suoi allievi lo avessero visto a letto, con i capelli brizzolati arruffati, la giacca aperta per mancanza di bottoni, le lenzuola lise, le ciabatte esauste e scolorite abbandonate in un angolo, non lo avrebbero riconosciuto. Per loro il professore Rega non era un uomo trasandato.

Alto, lo sguardo grigio-verde attento, Rega aveva un aspetto fresco e un buon profumo di corteccia e muschio. Quella mattina non si alzò.

C’era il pranzo con gli allievi del quinto anno quel giorno. Se ne andavano, era già successo con tanti altri. Anche la moglie di Rega se n’era andata, da tre anni ormai. Era morta silenziosamente. L’anno dopo Diego, suo figlio, si era trasferito in Canada.

Rega quel giorno non si alzò perché era stufo di addii.

In quella casa era tutto spento. Solo i vestiti erano in bell’ordine nell’armadio e le camicie perfettamente allineate nei cassetti, solo loro sembravano appartenere al presente, merito della lavanderia al civico 100 di quella stessa strada. Tutto il resto sembrava sospeso, proveniente da un tempo indefinitamente lontano.

Erano le undici quando finalmente il professore si alzò e andò in cucina a prepararsi il caffè. La tazzina sbreccata in mano, si accomodò al computer, ma prima oscurò completamente la stanza abbassando la persiana. Si era visto per un attimo riflesso nei vetri: “Come sono invecchiato” aveva pensato.

Si collegò ad una chat incontri. Aveva scritto il suo profilo mentendo su tutto. In quel mondo lui era tale Socrate 60, quarantasettenne celibe, bella presenza, sensibile, amante della musica e della buona cucina. Gli scrivevano tante donne. Era avido di quelle presenze e del disprezzo che provava per loro. Si era abituato a quella sensazione agrodolce, non riusciva più a farne a meno.

Un rumore all’uscio lo distolse dalla sua conversazione con Regina di Cuori.

Era il portiere che, come sempre, gli lasciava la busta della spesa attaccata al pomello della porta. Poche cose: pane, latte, affettati. Rega gli lasciava la lista sotto l’uscio. Albino si preoccupava di fargli avere quanto richiesto entro mezzogiorno e se non trovava la lista comprava comunque pane e latte.

Quel rumore avvertì Rega che era mezzogiorno. Aspettò che il portiere se ne fosse andato per prendere la busta. Non aveva fame.

Alle quattordici uscì. Albino era chiuso nella sua casetta di portineria, si godeva la pausa pranzo.

Il portone era vuoto, non lo vide nessuno.

I pontili deserti erano lustri di acqua e sole. Sembrava un ragazzo Rega con la tuta da ginnastica e lo sguardo disteso dall’aria frizzante di quell’ottobre ora benevolo ora nuvoloso.

 

Quando suo figlio Diego era piccolo lo portava a pescare sul molo. Poi era cresciuto ed era successa quella cosa che li aveva allontanati. Quella faccenda dell’omosessualità.

Rega un figlio omosessuale non se lo aspettava. Niente contro nessuno per carità. Lui era un uomo di cultura, aperto, emancipato. Non come la moglie che quella sera, quando Diego li aveva invitati a cena fuori per comunicargli la notizia, lo aveva guardato con irritato disprezzo.

Lui a tavola non aveva battuto ciglio, anzi, era stato anche un po’ seccato da tutta quella messinscena: “Vi porto a cena fuori, devo parlarvi di una cosa terribilmente importante”.

La cena fuori, il ristorante particolare, la reticenza iniziale.

Che bisogno c’era di tanti misteri, avrebbe potuto dirlo così, dirlo e basta, in un momento qualunque, non so, ma insomma: era gay. Così si diceva. E allora?

E allora perché si sentiva così contrariato Rega, quella sera, andando a letto? Non certo per quella faccenda del ristorante e tutto il resto. Diego era così, un po’ cinematografico diciamo, ma in questo non c’era niente per cui contrariarsi, anzi. A lui era sempre piaciuto quel gusto della cornice che il figlio aveva da sempre molto spiccato. Diego ritualizzava e impacchettava con grandi fiocchi tutte le banalità che possono venire in mente. Era così. Così come? Com’era Diego, adesso che ci pensava?

Fino a quella sera aveva creduto di conoscerlo benissimo: Diego, mio figlio.

E adesso se lo ritrovava gay. Cioè? Baciava gli uomini, si faceva toccare da loro, ci andava a letto, sì, in quel senso.

Ebbe gli incubi quella notte. Aveva delle parole in testa che lo braccavano, volevano esplodergli dentro e lui le ricacciava come mosche fastidiose, come serpenti viscidi, odiosi, che schifo! Ecco. Il primo boato, la prima deflagrazione seguita da tante altre piccole onde d’urto, che schifo che schifo che schifo…

Si alzò come sempre alle sei. Corse fuori da quella casa subito dopo la doccia, aveva compito in classe, si giustificò, doveva fermarsi a fare delle fotocopie.

S’incamminò a piedi, si sentiva osservato come se tutti i passanti potessero accorgersi solo guardandolo del suo segreto. Già, il segreto. Ma Diego a chi lo aveva detto? Prima che a loro, prima che a lui? Dio mio, forse era da tempo lo zimbello di tutta la sua famiglia e non lo sapeva. Ecco perché suo fratello Carlo, al matrimonio del figlio, aveva fatto quella battuta su Diego, sui nipoti che non gli avrebbe mai dato. Ma no, che pensava? Che c’entrava adesso suo fratello Carlo? 

Dio mio, Dio mio, sentiva i pensieri guizzargli nel cervello, era tutto accelerato dentro di lui, non riusciva a rallentare, a riprendere il controllo.

Passavano i giorni e la catastrofe si confermava ai suoi occhi, s’ingrandiva, mostrava risvolti inattesi, pretendeva di riscrivere la storia del suo rapporto con il figlio: quando era successo? Quale episodio? Aveva commesso qualche errore? Quando? Perché?

Passarono gli anni. Non ci pensò più. Fece una semplice operazione di restringimento: delimitò il perimetro della sua vita, la quantità degli incontri, delle parole pronunciate, dei pensieri persino.

Teneva lontano quella cosa tagliandole i ponti di accesso fino a lui. Si lasciò risucchiare dai suoi studi e continuò a vivere come poteva.

La moglie era morta dopo sei anni. Diego un anno dopo si era trasferito in Canada. Non lo vedeva da due anni. Non lo sentiva al telefono ormai da mesi.

 

Quel temporale lo sorprese mentre guardava le barche ormeggiate. Si avviò con il colletto rialzato, non si trovava molto lontano da casa. La pioggia aumentava d’intensità ad ogni istante, magri rivoli prima, una cascata maligna poi, sferzante, sul suo corpo curvo in corsa. L’acqua veniva giù dal cielo compatta ora: era un enorme cono di luce liquida.

Rega correva, i pochi passanti correvano, inquieti per quell’inaspettato travaso di acqua dal cielo. Rega correva, ma ad un certo punto smise, rallentò, si fermò. L’acqua gli cadeva addosso con la violenza di una diga spezzata, di un argine violato. Piangeva il professore, ora, ma era acqua mescolata ad acqua, non si notava la differenza.

Arrivò sotto casa bagnato fin dentro l’ultimo anfratto, l’ultima cellula del suo corpo. Tremava.

Albino stava lottando contro il vento per chiudere il portone quando lo vide: “Professore, professore Rega, ma come, ve ne andate in giro con questo tempo?!”

Rega non rispondeva, non sapeva cosa dire.

La moglie di Albino, la signora Elena, arrivò con un asciugamano bianco, morbido: “Entrate professore, entrate un momento, ho acceso la stufa “.

Rega si lasciò portare in casa. S’infilò dei panni di Albino mentre fuori la tempesta continuava ad urlare. La luce andava e veniva. Rimase fino ad ora di cena. Cenò con loro. Albino ed Elena erano increduli di avere in casa un ospite così importante, non la smettevano più di affannarsi attorno a lui, che se ne stava lì, tranquillo.

Tornò a casa tardi. Ebbe voglia di tagliarsi le unghie, da Albino aveva notato che erano troppo lunghe. Ammucchiò le unghie recise sul pavimento: gli sembrarono tanti piccoli cadaveri.

Si chinò a raccoglierle e notò, abbandonate in un angolo, le sue ciabatte sfondate: gli sembrarono vecchie serve fedeli in attesa di accompagnarlo verso la notte. Le ignorò. La lucina del computer occhieggiava, poco più in là. Immaginò Regina Di Cuori dall’altra parte dello schermo: sorrise.

Finalmente vide quello che stava cercando. Il telefono.

Cercò un numero nella rubrica telefonica. 

 

(continua)

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