Era trascorso quasi un mese e la vita del signor Giuseppe era cambiata. Fido non era più tornato: era certamente successo qualcosa perché, dopo essere stato regolarmente a prendere il giornale, era scomparso. Dal Gino non era mai passato e a nulla avevano sortito i patetici manifestini con la sua foto. Forse un incidente…  forse un tram, non visto perché il giornale in bocca gli toglieva parte della visuale. Giuseppe fu ovviamente preso dallo sconforto e dai sensi di colpa. Il sentimento di solitudine che viveva sembrava insopportabile, specie al mattino e alla sera e, come al solito, era difficile da condividere e spiegare. Mai davvero pensava Giuseppe, sarebbe riuscito a dare l’esatta misura di ciò che stava soffrendo. Nemmeno il Gino - accidenti! - sembrava capire. Aveva liquidato il fatto con un “eh… quei bastardini li, selvatici, sono troppo imprevedibili…” e stop neanche una parola di più, via a fare un altro scontrino!

“Ma come?! Anche tu Gino! Ma allora ha ragione il Gennaro, più che ai danè non riesci a pensare e poi, davvero, quelle pizzette dentro la plastica sono immangiabili”.

 Ma queste cose il signor Giuseppe le aveva solo pensate e non gliele aveva certo dette in faccia. Come al solito non era il momento, semmai più avanti.

 

Insieme a quel dolore, o forse proprio per quello, a causa di quel distacco o forse proprio grazie a quello, Giuseppe si trovò nelle ossa come una determinazione nuova, una specie di forza ma non nervosa, calma, rilassata, potente: se non fosse stato che era naturalmente ancora profondamente triste avrebbe definito quella forza potente una forza “serena”. Ma si può essere al contempo tristi, forti e sereni?

Sì, certo, lo stava sperimentando proprio in quel momento, con quegli ingredienti mischiati fra loro in dosi perfette da una mano sapiente.

Uscì e andò dal Gennaro, aspettò di entrare quando non c’era nessuno, vicino all’orario di chiusura.

“Gennaro, ciao”, disse come teleguidato da pensieri che si formavano e materializzavano così lontano da lì.

“Ciao Giuseppe, cosa fai qui a quest’ ora? Se è per l’aperitivo va bene, ma non dal Gino, ha delle patatine della guerra del ’15!”

“No, volevo farti una domanda”, e qui il tono si fece serio e Gennaro capì che non era il momento di scherzare.

“Dimmi”, replicò Gennaro.

“Quante tempere ha la scatola più grossa che c’è sul mercato?”

“48, della Giotto”

“Quanti tipi di giallo esistono?”

 “Almeno 16 gradazioni”

“Perfetto”, disse Giuseppe perentoriamente, “voglio una scatola da 48 della Giotto con tutte le 16 gradazioni di giallo, ripetute 3 volte ciascuna”

“Ma è per la…”

Giuseppe lo guardò in un modo che Gennaro abbassò gli occhi. Mai nessuno prima davanti a Giuseppe aveva provato quella soggezione, mai!

La scatola sarebbe stata pronta il giorno dopo, all’apertura, alle 9 in punto.

 

Fu facilissimo, stranamente, portare la scatola alla Luisella.

Il Signor Giuseppe sentiva ancora quella determinazione, forza, calma e potenza i cui effetti aveva visto nello sguardo abbassato di Gennaro. I suoi stessi gesti, la sua camminata e l’incedere della sua stessa voce si erano allineati a quello stato di grazia che sorprendeva lui stesso.

Aveva timore, come nei fumetti, di essere uno di quei personaggi che camminano nel vuoto anche a lungo finché non si avvedono di essere senza terra sotto i piedi e lì cadono. Per quello cercava di non pensare a nulla mentre raggiungeva, con la scatola in mano, casa, e quindi la Luisella.

 

“Oggi la brioche, il Gino, l’aveva solo di quelle grosse…”, disse a Luisella consegnandole la bella scatola ben impacchettata e compiacendosi del fatto che non si era preparato affatto quell’ incipit ma gli era venuto lì per lì.

Entrarono in casa, Luisella aprì il pacco e, proprio come al ritornello della Primavera di Vivaldi, le uscirono le lacrime: “Guardi Giuseppe son felice, non sto piangendo, non so perché mi escono le lacrime, escono da sole, non sto… piangendo”

Mentre diceva così lei si affrettò a prendere un disegno appena terminato per ricambiare il pensiero con quello che poteva: era una riproduzione del quadro di Van Gogh del cielo stellato, con dei girasoli di un giallo solare al posto delle stelle!

“Che fantastica trovata Luisella, dobbiamo festeggiare, stasera ti voglio portare da Romani!”

Era passato al “tu”, lei non aveva battuto ciglio: in quel minuto, con tutte quelle cose successe, si era sentita guardata nel suo segreto e ammirata proprio là dove si sentiva goffa e maldestra, tanto da voler sempre chiudersi dentro casa per sentire la gioia di quei fiori gialli e tentare di riprodurli sulla carta come li vedeva lei, per gratitudine ed entusiasmo. Si sentiva bella, di una bellezza nuova.

Entrambi desideravano ora stare in silenzio, sfiniti dopo quelle emozioni e desiderosi di comprendere quella gioia che stava avvenendo. Così come un quadro si comprende davvero posizionandosi a un metro di distanza e non spiaccicandosi a un centimetro, si salutarono e si diedero appuntamento per le 20, pieni come erano l’una dell’altro.

 

Il Giuseppe si presentò con una nuova cravatta gialla che davvero non centrava nulla con quel vestito verde acqua che si sentiva di mettere a Primavera inoltrata, con delle scarpe nuove marroni che gli facevano malissimo, ma che aveva ritenuto di poter sopportare per la passeggiata fino al ristorante; la Luisella aveva il viso splendido, come quello di tutte le mattine ma con il trucco un po’ più deciso e con le scarpe coi tacchi alti che erano lì ferme da anni e che slanciavano gambe e caviglie, sulle quali il signor Giuseppe fece lo sforzo di non abbassare lo sguardo. E fu convinto di avercela fatta, ma non era vero.

Luisella tuttavia ne fu compiaciuta, sia perché in realtà aveva abbassato lo sguardo, sia perché aveva notato lo sforzo di non farlo.

A una trentina di metri dall’ angolo di corso di porta Romana con Via Santa Eufemia sbucò fuori il Gino, che in un attimo, quasi scappando, fece dietro front per evitare l’incontro. Evidentemente il Gennaro aveva riferito con dovizia di particolari dell’occhiata al fulmicotone al negozio.

 

I due passeggiavano in silenzio, Giuseppe si chiedeva se al ritorno avrebbe potuto osare di dar la mano a Luisella perché aveva già un desiderio fortissimo di farlo ma… non voleva rischiare di rovinare tutto proprio ora.

Lei canticchiava sottovoce sorridendo piena di stupore e, ogni tanto, decantando le gradazioni del giallo ocra e del giallo senape che mai aveva potuto sperimentare e per le quali ora doveva trovare al più presto il soggetto adatto per provarle.

 

Da corso di Porta Romana a Piazza Missori è un attimo, così come come da Missori a piazza Sant’ Alessandro.

Il 9 di Via Zebedia si trova proprio appena girato l ‘angolo da Piazza Sant’ Alessandro.

I due rimasero senza fiato.

Fido, con una cagnetta visibilmente incinta, era all’ ingresso del ristorante.

Come al solito “era già là”.

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