Papà riposa tranquillo tra le lenzuola ruvide del letto d'ospedale, dopo una nottata movimentata da crisi respiratorie e andirivieni di personale sanitario. Io sono rimasto tutto il tempo sveglio e vigile, immerso sia nel terrore di un addio improvviso che nel sollievo di un pericolo scampato.

L'alba si è affacciata dietro le veneziane da pochi minuti, sento un fortissimo desiderio di spalancare le finestre per far entrare aria pulita, quella che respiro sa troppo di morte e disinfettante. Nella penombra osservo mio padre in volto, ha un'espressione tormentata, forse sta combattendo con qualche motore d'epoca con lo scopo di farlo ripartire. Le sue mani così grandi e forti, ora inermi ai lati della figura distesa, una volta erano capaci di magie impensabili, da piccolo passavo ore a guardarlo lavorare chiedendomi come dita così grosse fossero capaci di gesti tanto delicati. “Vedi Antonio, i vecchi motori sono come gli orologi, basta una piccolissima imperfezione, una scheggiatura da qualche parte e l’ingranaggio non funziona più a dovere. Solo pazienza ed attenzione possono aggiustarli, non serve altro” mi diceva. Per cinquant'anni aveva ricostruito vecchie glorie del passato riportandole alla vita, adesso era il suo di meccanismo ad essere difettoso e purtroppo non esistevano magie in grado di ripararlo.

Mi alzo dalla sedia e passeggio un po' per la stanza, ho spalle e collo indolenziti. Ci sono altri tre letti oltre a quello in cui dorme mio padre, in uno russa un uomo dalla mole imponente, ricoverato per uno scompenso cardiaco, in quello accanto un esile ometto barbuto, un professore universitario, mi saluta con un leggero movimento del capo. Sul suo comodino sostano tre libri storia antica che gli terranno compagnia per tutto il tempo della degenza dovuta ad un controllo di routine. Il letto accanto a mio padre è vuoto e nell’ultimo riposa lui, l’uomo che ha fatto di me l’uomo che sono diventato. Non è mai stato un tipo espansivo ma ricordo ogni sua stretta di mano come un abbraccio forte e avvolgente. Il giorno della laurea in ingegneria, il mio matrimonio, la nascita dei miei figli, ogni volta quelle mani capaci hanno afferrato le mie dicendomi tutto quello che avevo bisogno di sentirmi dire. Adesso la sua stretta è debole come il suo respiro, ma come quel respiro non molla la presa.

Mi avvicino alla finestra e sbircio fuori da dietro le stecche di alluminio, sono quasi le sei e si sentono i primi cinguettii degli uccellini. Ho letto da qualche parte che una certa specie di uccello canoro pensa di morire ogni volta che cala il sole e la mattina, quando si sveglia, è così sorpreso di essere vivo che si mette a cantare. Non so dire se quegli uccellini cantassero per mio padre e per il suo nuovo giorno da vivere, so solo che, per quanto mi riguarda, sarò sempre grato per tutti quelli che ho trascorso al suo fianco.

 

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