Siamo animali, animali abusati, bestioline picchiate, ferite quasi a morte, lasciate lì e dimenticate, vediamo se riescono a morire.

Siamo al buio, non esiste un sole che ci scaldi, un padre amorevole, non esiste una luna che rischiari la notte, una madre a farci da guida, non esiste un manuale di istruzioni per aiutarci a camminare sulle zampine monche che abbiamo dalla nascita, tocca andare a istinto, annusare bene l'aria, trovare un rifugio, trovare qualcosa o qualcuno che si occupi un po' di noi, fosse anche una gabbietta stretta stretta ma al riparo. Al riparo da tutto.

 

"Oh, io mi fido, eh, ti traghetto ma non mi pungere!" "Non sono mica stupido, se ti pungo tu muori e io affogo perché sono uno scorpione e non so nuotare." Sappiamo com'è andata, no? Lo scorpione ha punto la rana che lo stava traghettando da una sponda all'altra dello stagno e sono morti entrambi. E perché lo scorpione ha punto la rana, sapendo come sarebbe finita? "Perché è nella mia natura", risponde lo scorpione. Eppure, lo scorpione non era stupido, sapeva bene che anche lui sarebbe morto, pungendo la rana, ma l'ha punta comunque; il suo istinto ha guidato il pungiglione avvelenato. La mia paranoia guida i miei autosabotaggi, la si può paragonare all'istinto dello scorpione. Io ci provo, ci provo davvero a mantenere lucidità, a farmi le domande giuste imparate nelle sedute di psicoterapia per non distruggere i rapporti, distruggere quel che ho e quel che ho trovato, per non cedere alle ideazioni paranoidi e pungere la mano che mi viene incontro, ci provo, a fidarmi; a volte credo di lasciarmi andare e quasi immagino di affidarmi.

Ma poi non mi fido. Metto alla prova chi si avvicina con innumerevoli punture velenose, finché, poi, arriva l'agognata conferma

che sono una persona da non amare, quando gli altri, avvelenati una volta di troppo, se ne vanno. Ci ho provato anche oggi, con quella che sembra essere l'unica persona, in una vita intera di incontri, ad aver capito tutto di me sin dalle prime parole scambiate. E non per la prima volta, ci ho provato. L'ho già punta, l'ho già allontanata, l'ho recuperata per un soffio, quasi persa per sempre, e l'ho punta di nuovo. Ma lei rimane. Dice che sa tutto, che conosce il vuoto, conosce gli autosabotaggi, conosce l'umiliazione e conosce la morte
perché è morta tante volte. Rimane perché mi sente, capisce come è il mio umore anche solo da una virgola in un messaggio, sente la mia rabbia anche se di vigole non ce ne sono, sente il mio bene e sente il mio male e io so che è una strega. Ho tanta paura, mi difendo, mi dibatto, strattono la lenza, mi strappo un labbro pur di liberarmi dall'amo ma poi torno. Torno sempre io mentre lei resta e mi  aspetta, anche se la mando via. Torno sempre io, il Re del lago vuole scappare ma anche saltare nelle braccia del Pescatore. E' tutto così confuso, non so più chi sono, in questa storia di animali abusati. Giorni fa, credevo di essere il Pescatore. Rileggendo ho capito che ero la preda, ho pensato che sono stata tutt'e due ma di più il Re del lago, il pesce da catturare. Il punto è che dovrei smettere con il mio personale bestiario, lasciar da parte lucci e scorpioni, rane e pescatori, Bambi e Moby Dick, e Serpi, dovrei riuscire ad essere vera e lasciarmi finalmente andare. Due cose che non hanno quasi significato, ormai, per me, se mai ne hanno avuto. Sarò capace di non pungere più? Sarò capace di non rovinare tutto?

Cosa posso dire allo psico? "Dottore, maledizione dottore, credo di essermi innamorata... cosa sarà di me, adesso?"

E di lei?
 

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