Mi sveglio, o meglio emergo dal pozzo nero in cui sono sprofondata secoli o millenni prima. Il mio corpo, dolorante, è strettamente legato al letto. Gambe larghe e caviglie strettamente imprigionate in grossi anelli di ferro mi impediscono ogni movimento. Lo stesso dicasi delle braccia, incatenate alla spalliera del letto. Percepisco un materasso duro, sotto di me. Ho dolori in ogni singola parte, dalla testa ai piedi.

Lentamente affiorano i ricordi: erano due. Mi hanno sorpresa all'uscita della biblioteca dove lavoro. La via è secondaria e poco illuminata e non posso vedere chi sono. Cominciano a picchiarmi in testa con pugni violenti e svengo quasi subito. Mi portano in una stanza, non so dove, e mi legano al letto. Abusano di me, più e più volte con inaudita violenza, nella posizione in cui mi trovo non posso difendermi ed è inutile tentare di reagire. Urlo con quanto fiato ho in gola, ma sono stata zittita da una granuola di pugni seguiti da insulti irripetibili.

Non so quanto tempo è trascorso.

Sono sveglia e ho male, tanto male.

Una sottile lama di luce, in alto sul muro, forse una finestra chiusa, mi dice che è giorno fatto.

Calcolando che quando mi hanno aggredita non era più tardi delle otto di sera, saranno passate dieci o dodici ore. Non mi cercherà nessuno. Sono sola. Non ho parenti e nemmeno amici.

I miei aggressori torneranno.

Ho paura.

Tanto male morirò di sicuro mi uccideranno.

Gli occhi, abituati all'oscurità mi permettono di scorgere la stanza. La lama di luce è diventata più forte e vedo bene la porta chiusa. Al lato del letto c'è un lavandino, credo di ceramica. Mentre dalla parte opposta alcune sedie messe qua e là in disordine completano l'arredo.

Fuori, penso sia una piazzetta, alcuni ragazzini giocano a pallone. Provo a chiamare e a gridare <<Aiutooooooo! qualcuno mi aiuti

Le voci si fermano, forse i ragazzi mi hanno sentita e allora urlo più forte <<Aiuto, per favore aiutatemi

Sento che i ragazzi scappano spaventati.

Non provo più dolore. Mi sento leggera e mi sollevo in volo sopra il letto e vedo me stessa legata in una posizione oscena. Il mio corpo è già in avanzata decomposizione.

Cavolo! Sono morta! Chissà da quanto tempo. Sono emersa dalla morte con l'ultimo ricordo del dolore. Sento dei rumori

<<Ecco, papà, la porta è questa e la voce veniva da dentro

<<Questa catapecchia avrà almeno duecento anni, figurati se c'è qualcuno. Maresciallo, che dice?

<<Apriamo e e vediamo che c'è. Porti via il bambino perché lo spettacolo forse non sarà dei migliori>>

<<Quindi lei pensa....>>

<<Non penso nulla, ma è meglio essere cauti>> Il bambino col suo papà si allontanano mentre due carabinieri aprono la porta e subito si premono un fazzoletto sul naso e bocca. Lasciano entrare l'aria e la luce e mi vedono <<OH cavolo!>> dice uno <<Questa poveretta è morta da almeno un mese. Chiama subito l'ambulanza e il medico legale>>

Portano via il mio corpo dentro una cassa di zinco, e svolazzando sopra le loro teste vedo il corteo che si dirige verso l'obitorio. Non so che fare, qualcosa mi trattiene qui. Volo sopra i tetti delle case e guardo la mia città dall'alto. Il tempo per me non conta e non so quanto ne sia passato, ma vedo spesso i miei violentatori nel parco di sera in cerca di una prossima vittima. Hanno cambiato la stanza dove commettere i loro crimini. Adesso li ospita una malridotta roulotte.

Una sera, nel parco, passa una bella ragazza. Bionda con i capelli raccolti a coda di cavallo. Subito dietro di lei i due delinquenti sghignazzano, ma non sono soli, sono circondati da decine di uomini in divisa e anche la ragazza è una poliziotta. I due si avvicinano e tentano di afferrarla ma altre mani li bloccano e in men che non si dica si ritrovano ammanettati.

La mia morte non è stata inutile, avevano già ucciso cinque ragazze.

 

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