Roberto Carnevali, un ragazzo napoletano di quindici anni, era un mio compagno di classe. Nel millenovecentosessantuno frequentavamo il secondo anno dell’Istituto Tecnico Commerciale “Mario Pagano” di Napoli. Lui apparteneva ad una famiglia di origine nobiliare e questo traspariva nella sua personalità. Di statura media, “normodotato” si direbbe in gergo tecnico, aveva folti capelli castani, occhi chiari ed un colorito tendente all’olivastro. Sempre ben pettinato, elegante nel vestire, ricordo che  indossava spesso una giacca blu con bottoni dorati, una camicia bianca o celeste, una cravatta ben intonata e dei pantaloni grigi, Roberto parlava poco, spesso oltrepassava appena il confine delle espressioni a  monosillabi.

Un tipo molto schivo che sembrava quasi volesse nascondersi dietro i suoi occhiali da vista dai vetri fumé. Per i suoi modi molto raffinati, le movenze un po’ femminee ed il tono di voce, poteva dare l’idea di essere un omosessuale.

Alcuni compagni di classe lo prendevano in giro bonariamente, gli affibbiavano soprannomi. Uno di questi era “Roberto Carnevali, conte culobello”. Il più originale però, fu quello che gli attibuì lo studente Vittorio Saracino. Questi, dotato di un’ironia raffinata, affermava che il soggetto, rampollo di una famiglia nobile, era un tipo più unico che raro, e diceva sempre che era “come se non esistesse”. Per tale motivo gli conferì l’appellativo, oggi sarebbe nickname, di “Garofano verde”.  Un omaggio alla “delicatezza floreale" dei modi del compagno di classe, alla sua “unicità” e alla sua presunta omosessualità. Tutto ciò considerando che il garofano verde non si trova in natura.

Il Carnevali non si scomponeva, accettava di buon grado le facezie ed i lazzi degli altri e, spesso, era il primo a riderne, anzi a “sorriderne”. Per questo lo ricordo come un ottimo ragazzo di spirito, che aveva il pregio di mantenere “il suo aplomb” e stare bene in mezzo agli altri.

Ho perso le tracce di “Garofano verde”, come di tante altre persone, ma provo sempre piacere quando ne rievoco la figura nei flash back dei miei ricordi.

 

Carlo Giarletta

 

 

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