Tutta la notte arse il fuoco, nella penombra della stanza, eravamo soli io e te in quel rifugio circondato dalla neve. Fuori l’inverno tesseva alle finestre dialoghi di vento e neve, mentre dormivi al riparo della mia ombra. Ci trovavamo in quel posto isolato perché tu avevi chiesto che la prima volta, doveva accadere nel silenzio e nella solitudine, niente, e nessuno, doveva spezzare l’incantesimo di quel momento così importante per te. Volevi un'intimità diversa dai nostri soliti incontri, qualcosa da ricordare nel tempo, mi hai negato il tuo corpo così a lungo che quasi disperavo di riuscire a far breccia nel tuo cuore, nonostante le tue continue dimostrazioni d’amore. Ad ogni mio tentativo, rinnovavi in me un desiderio che non poteva essere soddisfatto, mi guardavi con uno sguardo provocatorio e sorridevi, l’unica concessione erano le tue labbra che mi offrivi in punta di piedi, morbide e piene di fuoco, bruciavano. Ardeva il fuoco nel camino e tu eri nuda sotto la coperta di seta in cui ti eri avvolta. I bagliori delle fiamme t’illuminavano il viso disteso nel torpore che si è impossessato di te. Le mie mani impazienti di marinaio si avventurarono nello sconfinato mare dei capelli, percorsero i boschi delle tue ciglia e accarezzarono le palpebre chiuse, per scendere poi al viso levigato, delicato come il velluto di una pesca matura, le labbra socchiuse, il tuo respiro sapeva di viole. Precipitò la mano lungo la linea sottile del collo che confluiva verso lo spazio del petto e già le dolci colline d’avorio erano lì, piccole, turgide, due coppe da champagne con due ciliegine rosa, un cocktail da sorseggiare lentamente. Indugiai un attimo e sentii sotto le dita il fremito che ti percorse, quando sfiorai le vette per oltrepassare le alture e scender verso la valle. Andai avanti ad esplorare il tuo corpo perdendomi nella sua immensità, quando giunsi alla tua isola mi sentivo come un naufrago, solo, disperso e assetato d’amore. Arse il fuoco, tutta la notte, tutto il tempo dei nostri baci, delle nostre dita intrecciate come una fitta rete di pescatori per catturare ogni attimo di quella felicità a lungo desiderata, per imprigionare dentro di noi il fuoco che bruciava i nostri corpi, il tempo, e la luna che faceva da testimone in quel momento, in quella stanza al riparo dall’inverno, dal vento che fischiava alle finestre portandoci suoni di campane.

 

 

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Era ormai mattina e la nebbia leggera sulle colline pisane rivolte verso Firenze scendendo a valle rendeva la visibilità molto incerta, così Giorgio, anche se terribilmente ansioso di mettere fine alla sua angoscia, era costretto a procedere a bassa velocità e con cautela. Alla fine raggiunse il [...]

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