C'era un volta un cavallo che cresceva in bellezza e veniva curato dal suo padrone nel maneggio con tutti i prodotti di bellezza che il settore consentiva. Aveva una bella criniera, che sventolava durante le galoppante, e un manto più bianco della neve.

Nella fattoria viveva pure un somaro che veniva utilizzato in tutti i lavori agricoli e s'era fatto più vecchio della sua età per i continui sforzi e le fatiche che doveva quotidianamente affrontare. Quando vedeva galoppare il cavallo rimaneva a occhi aperti a sognare tanto da buscarsi una nerbata dal padrone perché continuasse il suo lavoro. Sognava anche lui di indossare un mantello bianco e di essere così importante come il cavallo bianco. Infatti venivano da ogni parte a vederlo e il suo padrone si vantava che aveva vinto premi e premiciattoli in ogni gara.

Sapeva galoppare, trottare ma oltre non sapeva fare altro. Il somaro invece tirava carretti, tirava l'aratro, si lasciava montare dal padrone e trasportava la legna per l'inverno e il fieno per l'estate.

Eppure tutte le gentilezze erano per il cavallo, che viveva come un re e neanche si accorgeva delle nerbate che il somaro prendeva quando si fermava ad adempiere ai suoi compiti sempre più gravi e stancanti.

Un giorno il cavallo pascolava su un prato ricco di erbe aromatiche alla riva di un ruscello. Si riscaldava al sole, trottava, galoppava. Vide passare il somaro faticatore e guardandolo con un certo snobismo disse: "E bravo il lavoratore! Zotico sei nato e zotico morrai! Perché non vieni a godere della bellezza del creato come faccio io. Sono questi i piaceri della vita a cui non possiamo rinunciare. Io non sono come te che lavori tutto il giorno e ti lasci comandare dal tuo padrone! Ribellati!"

Il somaro lo guardò con occhi spenti e passó dritto. Portava un grosso carico di legname.

Ma si sa, la vita é strana, dà a chi non ha niente e toglie a chi non condivide la sua ricchezza. Il tempo passó e le sorti cambiarono. Il somaro si guadagnò la fiducia del padrone, che capì quanto fosse per lui e per il suo lavoro e cominciò a riempirlo di lodi e gratificazioni, mentre vendette il cavallo a un facoltoso mugnaio, che se lo portò in campagna e gli affidò il compito di girare la macina durante il raccolto del grano per farne farina da portare al mercato. Così anche lui comprese quanto fosse faticoso il lavoro e come fosse irrispettoso prendere in giro chi lavora da parte di chi non fa niente.

Ora il somaro era in gloria mentre il cavallo, un tempo orgoglioso ed ingrato, in disgrazia. E mentre girava la pietra per la macina e le piaghe spuntava sul suo mantello stretto dalle cinghie di cuoio pensava quanto fosse stato un tempo irriverente e stupido nel criticare chi lavorava giorno e notte mentre lui pascolava nel prato della sua grande stupiditá.

 

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