Jersey City – New York, 1/9/2012

 

Giornata di trasferimento. Da Washington si parte intorno alle 10 a.m. diretti a Jersey City. Dobbiamo percorrere circa 210 miglia (350 km) e abbiamo intenzione di prenderla con tutta calma.

 Il traffico è delirante, file interminabili di auto di cui non si vede la fine. Per quasi tutto il percorso siamo bloccati in una coda di vetture che procedono lente e pazienti. Il caldo è asfissiante, il termometro esterno segna 97° Fh (circa 40°) e siamo cotti al punto giusto.

Verso le 13 e trenta ci fermiamo per un veloce spuntino con i soliti panini gommosi comprati al market di Washington, benzina per l’auto e via verso le ultime miglia.

Arriviamo alla nostra meta verso le 16. Sembriamo più accattoni che turisti: sudati, stanchi e mal vestiti.

Quando troviamo l’hotel restiamo di stucco: super extra lusso!

Papà si vergogna quasi a entrare, poi si fa coraggio ma con la massima cautela, ci lascia in auto ben nascosti.

Visto che la nostra stanza non è ancora accessibile ci viene assegnato un appartamento al 23esimo piano accanto alla suite presidenziale: uno spettacolo! Con il nostro abbigliamento molto casual, i boccioni di acqua nascosti nelle valigie e gli yogurt camuffati dentro alle custodie delle macchine fotografiche, ci facciamo coraggio e ci avventuriamo nella hall.

Antonio è impazzito: gira su e giù con gli ascensori perlustrando la cotanta meraviglia. La stanza sembra un vero appartamento, è la più grande che abbiamo mai vista, letti matrimoniali a due piazze e mezza, tv al plasma, bagno accessoriato di ogni comfort. Sistemiamo i bagagli e andiamo in avanscoperta per capire dove trovare la metropolitana per raggiungere Manhattan. Jersey City è un bel quartiere elegante, percorrendo un breve tratto di strada, ci ritroviamo sul Pierre Newport da dove si scorge proprio l’isola. Il cuore comincia a battere forte e l’emozione è quella della prima volta in cui l’abbiamo vista. Il World Trade Center, l’Empire State Building, i grattacieli, il fiume Hudson, tutto davanti a noi ancora illuminato da un caldo sole che sta lentamente tramontando. Domani la Grande Mela ci aspetta e siamo pronti…

 

New York, 2/9/2012

 

L’intenzione sarebbe stata quella di svegliarci presto invece, dopo una notte quasi insonne, a causa della gustosa e ottima mega pizza italiana ingurgitata la sera precedente, alle 8 siamo ancora in stanza a fare colazione. Pazienza, la Grande Mela ci aspetta.

Vicino al nostro hotel abbiamo trovato la stazione di Newport dove prenderemo il treno che ci condurrà al WTC.

Prima tappa, doverosa, il Memorial dell’11 settembre.

Durante la nostra prima visita, avvenuta 5 anni or sono, avevamo visto il buco lasciato dalle due torri gemelle durante il crollo e tante scavatrici al lavoro, oggi troviamo due grattacieli quasi ultimati e 3000 uomini che con solerzia cercano di ultimare il progetto.

Paghiamo i ticket ed entriamo  nel memoriale. L’atmosfera è di silenzio agghiacciante, rotta solo dal filmato che trasmette i momenti del disastro e le immagini dei soccorsi. Fotografie di uomini e donne morti o mai ritrovati tappezzano le pareti intorno a noi. I loro sorrisi sono meravigliosi, volti sereni in momenti sereni che oramai sono perduti per sempre.

Antonio riesce a scattare qualche foto, noi non ce la sentiamo, sarà perché abbiamo vissuto quella tragedia in diretta, sarà perché abbiamo ancora negli occhi quelle immagini drammatiche e la commozione ci assale.

I biglietti dei bimbi di allora recano le scritte ai loro cari come se potessero leggerli. Su di uno leggo: “ Cara mamma, come stai? Dove sei ora? Io sto bene, ma tu mi manchi molto. Questa sera ho lavato i piatti e ho pensato a te. Ti voglio bene.”

Ci rechiamo al Memorial vero e proprio dove al posto delle due torri sono state costruite due grandi vasche. L’acqua scorre e precipita in un buco profondo 40 metri, tutto attorno si leggono i nomi delle tante vittime. Un cartello dice: “Toccate i loro nomi”. Le mani di tutti sfiorano quei nomi.

Sono accanto al nome di una donna italiana: Giovanna, la mia mano accarezza il suo nome: ciao Giovanna, riposa in pace.

Terminata la commovente visita decidiamo di passare a qualcosa di decisamente più ameno. Il desiderio di rivedere Liberty ed Elli’s Island non passa mai. Ci rechiamo così al Pierre, acquistiamo i ticket e ordinatamente attendiamo un’ora in fila. Il battello parte con centinaia di persone a bordo, il fiume Hudson ribolle nella baia e in pochi minuti ci appare la Statua della Libertà. Il dito preme ancora sul pulsante della macchina fotografica e tutti scattano all’infinito da ogni angolazione.

L’isola è piccola e dopo il nostro tour, guidato da spiegazione in cuffia magicamente in lingua italiana, ci rimettiamo in coda per raggiungere Elli’s Island.

Qui la storia ci parla, ci racconta di persone che raggiunsero l’America tra la fine del 1800 e i primi del 1900. I trattamenti sommari a cui erano sottoposti, le cure mediche superficiali, il terrore di sentirsi soli, abbandonati, rifiutati, il non capire una lingua diversa dalla propria, le amare delusioni di essere rispediti indietro, oppure la realizzazione del sogno di tutta una vita. Fotografie e documenti di volti tristi, preoccupati, smarriti, ci osservano ammutoliti. Qualcuno sorride alla vita perché è riuscito a realizzare il progetto di ricominciare e da lì partirà cercando di creare un nuovo e decoroso avvenire.

Questo salto nella storia ci fa trascorrere l’intero pomeriggio e la visita al Central Park salta. Una leggera pioggia scende dal cielo. Siamo stanchi e la decisione è unanime: tutti in hotel a ristorarci.

Domani ci attendono più di 8 ore di viaggio in auto verso le Niagara Falls, un salto nella natura…

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