“Chi sei tu?” chiedeva all’immagine riflessa nello specchio nella quale faceva fatica a identificarsi. Perché quell’immagine era la stessa – lo ricordava bene – di quando lui era felice o almeno si illudeva di esserlo. Ma ora gli sembrava estranea perché lui era a pezzi come in frantumi erano andati la sua voglia di serenità e il suo bisogno di amore. No, no, in mille pezzi era andata soltanto la prima, la serenità, perché il bisogno d’amore lo avvertiva ancora intatto, anzi lo sentiva crescere giorno dopo giorno. Ma sentiva anche che i pensieri lo consumavano dall’interno, come quei microbi che si nutrono dei tessuti nei quali riescono a insediarsi; sentiva che i ricordi gli graffiavano costantemente l’anima, facendola sanguinare e, rendendola più debole, le impedivano di volare; sentiva che il cuore rallentava il suo pulsare sotto il peso della delusione, sbuffando come un vecchio locomotore ansioso di raggiungere la stazione.
Aveva chiuso dietro di sé la porta della vita e si era rifugiato in quella stanza buia, senza carezze, senza baci, senza amore. In compagnia di quell’immagine sullo specchio resa confusa dalle ombre della sua mente. Sembrava un vetro sporco, lo specchio, e questo rendeva ancora più difficile la sua identificazione con l’immagine riflessa.
Ma un giorno in quella stanza entrò una ragazza – ah, come era bella! – che in silenzio aprì la finestra per far uscire la solitudine che la riempiva e pulì con molta energia lo specchio.
«Cosa fai?» chiese lui.
«Pulisco lo specchio perché io so che l’immagine che tu vedi non è quella reale, lo capisco dai tuoi occhi. È deformata dai pensieri negativi e dai brutti ricordi, che io ho cancellato pulendo lo specchio. Ora sta a te evitare di sporcarlo ancora».
«Non so se ce la farò mai, da solo».
«Se vuoi, io posso rimanere per aiutarti a tenere pulito lo specchio».
«Perché lo fai?» volle sapere lui.
«Perché la mia voglia di dare amore è la compagna del tuo bisogno di riceverne» rispose la fanciulla.

 

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