Si era inventato un mestiere per arrotondare una pensione sottile come un'acciuga e permettersi qualche fetta di prosciutto in più, magari accompagnata da una mozzarella minuta ma gustosa, con la goccia di latte che scivola verso il piatto simile ad una lacrima salata. Salì sull'utilitaria di sua proprietà parcheggiata sotto casa e si lanciò sulla provinciale che porta verso le campagne lombarde gravide di foschia e umidità.

Si fermò a Masate dove nessuno lo conosceva. Posteggiò la Twingo gialla al centro del paese e subito fu assalito dalla tentazione di fare retromarcia, andarsene da lì e buttare all'aria quel progetto sgangherato che aveva tenuto nascosto a tutti.

Eppure doveva agire, e subito. Pagare almeno le spese condominiali già scadute, evitare che durante l'incombente assemblea qualcuno lo sputtanasse chiamandolo furbacchione o, peggio ancora, passare per un morto di fame.

No no, non se ne parlava nemmeno.

Strinse i denti e ingoiò vergogna ma non mollò. Era circondato da case e palazzi a perdita d'occhio, doveva solo scegliere da dove cominciare.

Fece qualche passo in direzione di un citofono zeppo di etichette che riportavano i cognomi più disparati: Cacioppo, Merlo, Ralutovic, Malukdar... chiuse gli occhi e ne pigiò uno a caso: solo silenzio. Provò ancora, sempre scegliendo a casaccio. Udì una voce femminile, gracchiante.

"Si? Chi è?"

Aveva una risposta già preparata da tempo ma la voce si fermò a mezza gola. Dopo un attimo durato un secolo riuscì finalmente a sbiascicare poche parole uscite dalle labbra e colme di incertezza.

"Sono Vito, l'uomo del box pulito..."

Oddio come gli suonava insulsa quella frase. L'aveva sempre percepita come semplice, informale, persino empatica. Ora invece dopo averla pronunciata si sentiva ridicolo e inadeguato, come un uomo beccato a fare pipì a un angolo della strada.

Immaginò la risposta prima che la donna la formulasse: 'E chi se frega... ma se ne vada al diavolo...'.

La signora Merlo invece fu gentile.

"Oh... mi spiace ma del box se ne occupa mio marito che ora lavora. Buona giornata".

Riprovò con la famiglia Sanseverino.

"Buon giorno, sono Vito, l'uomo del box pulito..."

"E io sono Ali Babà, quello che il box non c'è l'ha. Our revoir."

L'aveva ferito quella voce che aveva riso di lui, di quell'ometto ora bardato di una ridicola tuta arancione acquistata in saldo ai grandi magazzini.

"Lei è quello dello sgombero di cantine e solai?"

Era una settantenne di una certa stazza comparsa all'improvviso dalla strada con un bastone da passeggio al quale si appoggiava. Lo squadrò dalla cima dei capelli agli scarponi neri, antinfortunistici, che aveva indossato per l'occasione.

Vito non era la persona che stava cercando ma comunque, pensò l'uomo, perché deluderla?

"Certo signora. Se le occorre una mano... siamo qui.'

Aveva usato il plurale maiestatis come lo avrebbe utilizzato il boss di una azienda dal solido fatturato.

"Sono Steffillongo, Stefillongo Maria, quinto piano. Attenda un secondo.'

La donna armeggiò con un cellulare datato che portò all'orecchio dopo aver composto un numero.

"Ciao Antonietta. Allora il Peppino te lo fa il lavoro?"

Il cellulare della Stefillongo non era in viva voce ma Vito udiva perfettamente la conversazione animata dall'eccitazione di Antonietta.

"Quello è un ladro. Mille euro per portare via due mobili in croce e staccare quattro quadri appesi al muro. Io lo denuncio quell'approfittatore. Vigliacco!"

"Dai, non ti agitare che con l'angina mi tiri dritta al cimitero. Ti passo un signore."

La Stefillongo pulì il cellulare sulla manica del soprabito e muta, senza muovere una palpebra, lo passò a Vito.

"Buonasera signora..."

L'uomo non ebbe l'occasione per andare oltre, Antonietta era un torrente senza più argini.

"Rapinatori! Ma io mica sono una banca! Teppisti con la faccia come il..."

La Steffillongo avvicino le labbra alle orecchie di Vito.

"È la nitroglicerina che prende con il betabloccante per curare l'angina. Ma quando è lucida è più dolce della marmellata."

Antonietta proseguì.

"E lei? Che cosa mi doveva dire?"

Vito era inebetito, travolto dal combinato disposto Stefillongo - Antonietta.

L'anziana del quinto piano strappò il cellulare dalle dita di Vito.

"Voleva dirti che per trecento euro ci pensa lui. Ti va bene?"

Vito stava piano piano riprendendosi dagli eventi e riemergendo da uno stato di paralisi mentale. Biascicò una domanda con l'indice alzato, come uno scolaretto.

"Trecento euro per che cosa?"

La Stefillongo lo ignorò con il cipiglio di un manager alle prese con un pivello incompetente e si rivolse di nuovo alla sua interlocutrice.

"Ha detto che va benissimo."

Guardò Vito che assisteva impotente alla trattativa.

"Quando potrebbe passare da Antonietta signor..."

"Vito, mi chiamo Vito Canfora."

"Domani mattina passa da te alle 10, così vi accordate e Peppino può andare a farsi fottere."

Vito sgranò gli occhi.

"Ma signora... e poi non so né dove abita questa Antonietta, né che tipo di lavoro mi chiederà...".

"La vede quella finestra del palazzo marrone con le tende tirate a mezza altezza? Quella del piano terra...".

Vito aguzzò la vista e notò a un centinaio di metri le tendine indicate dall'anziana.

"Abita là. La casa è piccola, piena di cianfrusaglie ma nessun pianoforte a coda o armadi a otto ante da smontare e rimontare. Allora si fa' a metà?"

Oddio, questa è pazza! Lo pensò, Vito, prima di vedere la bocca della Stefillongo allargarsi in una risata sorniona.

"E mi raccomando, poi passi da me che ho un box ridotto a uno schifo, una topaia. Ora vado e per la metà dell'incasso non si spaventi. Volevo solo vedere che faccia avrebbe fatto."

La donna si allontanò aiutandosi con il bastone che teneva tra le mani. Poi prima di scomparire nell'alveo di un androne si voltò per un attimo a squadrare Vito, dalla cima dei capelli fino agli scarponi neri, antinfortunistici, indossati per l'occasione.

"A presto signor Canfora."

 

 

 

 

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