Aveva indossato un basco nero e dei Ray Ban verde bottiglia acquistati di recente. Si specchiò per l'ennesima volta e dedicò un bacio all'immagine riflessa.

Qualcuno entrò per lavarsi le mani.

 

"Ciao Petito".

 

Era Big Panther. Capelli ricci e un corpo da urlo che ben si conciliavano con un completino mozzafiato vedo-non-vedo impossibile da ignorare.

 

"Ciao Big. Però così non vale. Come si fa a votare per Cioni o Patrucco... centocinquanta anni in due, vestiti come spaventapasseri. Dai... questa è corruzione della commissione giudicante..."

 

"Ma va là Petito, fosse così facile mi sarei presentata in tanga. Tu piuttosto? Ti sei buttato sul drammatico o sull'ironico? Fantascienza o love story?"

 

"Vampiri, zombi e mutanti in lotta per dominare Maukan, il pianeta che non conosce pace. Torno nella hall, a dopo."

 

L'uomo uscì dall'unica toilette che il teatro Pandolfini aveva messo a disposizione per il concorso 'Caterino Sferrazza' organizzato dall'assessorato alla cultura. In palio cinquemila euro tondi tondi ambiti da aspiranti scrittori sparsi per tutta la provincia.

 

"E comunque il successo è solo questione di visibilità!"

 

Lo sosteneva con convinzione Goccia di Rugiada che chiacchierava con Amilcare Cioni iscritto come lei al concorso.

 

"Se posi le chiappe sulla poltrona giusta, davanti alla telecamera giusta, diventi Carrisi in dieci minuti. Ma si, che ci vuole? Ti inventi una vecchia accoltellata per il gruzzolo che tiene nascosto sotto le sottane e zac..."

 

Petito rispose sarcastico.

 

"Peccato che ci abbia già pensato Dostoevskij."

 

Goccia di Rugiada replicò concitata.

 

"Ecco. Questo è il punto. Perché il mio Teodoro Mascherpa, ucciso da un tagliaerba manovrato sadicamente dal vicino di casa non ha goduto della stessa fama di Raskolnikov?"

 

Si intromise Patrucco che dopo un passaggio nella vicina toilette armeggiava ancora con una zip che non voleva chiudersi.

 

"Perché non distingui un avverbio di luogo da un articolo determinativo."

 

Il gelo calò improvviso.

 

"Ma che cazzo dici?"

 

"Che l'espressione 'la nel bosco' senza accento sull'avverbio è lacerante. Ti squalifica. Vedi l'incipit del tuo 'Giardino degli orrori."

 

"E tu, professor Patrucco, che ci triti le palle con tutti 'sti concetti astratti e vocaboli altisonanti buttati lì come palle sull'albero di Natale... 'astrali e ghiaccio, fuliggine e disincanto nell'iride che già furente strugge'. Ma va a cagare!"

 

"È poesia cara Goccia. Non proprio quello che ora vedo nei tuoi occhi iniettati di veleno."

 

La donna girò i tacchi e raggiunse stizzita la platea ancora vuota.

 

"Ma va 'ffanculo."

 

Digrignò i denti e affondò il sedere nel velluto rosso, morbido come panna montata, della poltroncina numero settantasette.

 

Petito accese una Marlboro nonostante il divieto esposto nella hall. Fissò negli occhi Patrucco che sosteneva fiero il suo sguardo.

 

"L'hai uccisa."

 

"Se l'è cercata. Ogni volta sono pianti e strilli perché nessuno considera i 'capolavori' scritti dalla fantastica Goccia di Rugiada. Mi ha rotto il...'

 

Amilcare Cioni posò la mano sulla spalla di Patrucco.

 

"La commissione!"

 

Erano tre. Imbacuccati per ripararsi da un freddo artico che non se ne voleva andare.

Quello con la barba bianca si tolse il cappello e interrogò l'orologio a cipolla che portava nel taschino.

 

"Buongiorno amici. Scusate il ritardo ma tra cinque minuti saremo in sala. Accomodatevi."

 

Una ventina di neofiti letterati raccolsero l'invito e presero posto in platea.

 

Un tale piuttosto anziano, calvo e di piccola statura si avvicinò a Pier Francesco Patrucco e prese posto vicino a lui. Patrucco lo salutò con un cazzotto simulato sulla spalla.

 

"Ciao Di Cicco. Non mi dire che gareggi con un opera di Aristofane riveduta e corretta."

 

"Ciao Patrù. Quest'anno porto Menandro, tanto qui nessuno se ne accorge, tranne te. Ho cambiato un po' le cose ma di quello si tratta. Tu che dici, uomo senza peli sulla lingua?"

 

"Se parli di peli, come vedi, questa lingua è intonsa."

 

Patrucco spalancò la bocca e mostrò al collega le papille gustative leggermente bagnate da un velo di saliva.

Big Panther serrò i pugni e gonfiò la giugulare.

 

"Ma che schifo! Tu provochi sempre, in continuazione, sei disturbante!"

 

Il professore incassò divertito e con una smorfia assunse l'espressione di un pazzo.

 

"E allora ispirati a questa lingua e a questo sguardo mefistofelico per dare vita al protagonista del tuo nuovo racconto."

 

Di Cicco scosse sconsolato la testa riprendendosi la parola.

 

"Così ti ho lasciato e così ti trovo. Ma tu proprio non vuoi guarire! Comunque, ho barato secondo te se ho rivisitato e corretto Menandro? Ah... ho usato Sinophys, un poeta virtuale che devi vedere quanto è bravo."

 

"Riepilogando: sei a corto di idee. Sfrutti l'intelligenza artificiale per camuffare un opera di Menandro e ti iscrivi al bando attirato dal profumo dei cinquemila euro... sei proprio una grandissima merda, una fetenzia!"

 

"Grazie collega. Questo mi aspettavo da te, sincerità. Comunque... Sinophys me lo sono inventato adesso, 'sto Menandro l'ho sentito nominare una volta in vita mia dieci minuti fa da quella tipa vestita di rosso. E quanto mi piace farti incazzare tu non ne hai idea."

 

Le luci si spensero e dopo la presentazione di venti brevi racconti la giuria si riunì per nominare il vincitore.

 

La spuntò Teresa Sansovino, quella vestita di rosso che immaginò Menandro redivivo e eletto presidente degli Stati Uniti.

Guerre terminate a tarallucci e vino, baci e abbracci tra leaders poco prima impegnati a farsi la pelle.

 

Petito si tolse il basco lasciando a nudo una boccia lucida, perfettamente liscia. Goccia di Rugiada si mangiava nervosa le unghie ripensando ad avverbi e articoli determinativi.

Di Cicco guardò in tralice Patrucco come a chiedere che ne pensasse. Pier Francesco rispose tappandosi il naso stretto dalle dita che sembravano due mollette.

Big Panther inghiottiva caramelle a gogò delusa che il suo 'A casa di Uhuk il cavernicolo' si fosse classificato solo ottavo.

Amilcare Cioni invece si complimentava con la vincitrice che saliva sul palco per formulare il consueto e breve discorso di chiusura.

Gli applausi scrosciarono generosi, qualcuno lanciò un fiore centrando in pieno il naso della vincitrice poi il silenzio la fece da padrone. Le luci si spensero e il portone di ingresso cigolò per qualche secondo prima di zittire. La notte avanzò veloce per calare un sipario invisibile su una giornata qualunque, in un posto qualunque, perso tra l'appennino e il mare.

 

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