I ragazzetti delle medie si innamoravano, saltavano le lezioni, sbeffeggiavano gli insegnanti e le squadre di calcio. "I più grandi" copiavano versi e loghi delle band preferite su panchine, pali della luce e sui sedili degli autobus, ai quali, era solitamente dedicata l'esclusiva pubblicazione delle confessioni amorose, spesso corredate di rappresentazioni e identikit; testimonianze che furono il mio primo contatto con un più ampio senso di identità collettiva; notiziari redatti dagli adolescenti, che all'avanzare di ogni anno scolastico si arricchivano sempre di più parole, pensieri, poesie e polemiche.
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Mi investì come un'onda inaspettata, io reagii con l'indomito coraggio di un micetto arruffato in preda al panico: un epico sobbalzo e sparizione istantanea in un buffo lampo disorientato: «OOOooohhhooo!!! Dove cazzo correte, imbecilli?! Tanto vi riacchiappo uno a unooo!!!». Gli imbecilli avevano già attraversato il campetto con il fragore di una mandria impazzita. Svanito il polverone, vidi degli "arlecchini", che stavano scavalcando la rete. L'urlo del primo allarme arrivó con una lieve eco, che fu subito interrotta dallo schiaffo di un megafono puntato casualmente sul mio timpano: «Seeeeeehhh!!!! Andate! Che mó, só cazzi vostri…ostri..ostriii...!».
Un millesimo di secondo dopo essere sfuggita per un soffio all'impatto con quattro bufali, il professore di ginnastica delle medie esordì proprio affianco a me, che mi stavo ricomponendo a bordo campo.

Anche lui confermò la mia evidente invisibilità. Mi scavalcó e proseguì a passo rassegnato verso il confine della sua giurisdizione, bofonchiando goffe lezioni di vita per validare le imprecazioni che avevano appena “slogato” le mascelle di noi ignari bambini lasciati lì al pascolo ricreativo. Eppure le sue minacce non avevano neanche sfiorato lievemente i criminali variopinti che ora trotterellavano fuori dal recinto delle scuole totalmente incuranti dei richiami.
Rimasi ammaliata da quella breve scena western, nella quale i bandidos sprezzanti dei rischi, apparivano come impavidi eroi davanti allo sceriffo.
A loro non interessavano i rimproveri.
Sembravano totalmente refrattari ai colpi incandescenti delle ramanzine. Come era possibile? Forse perchè non le potevano sentire con le cuffie nelle orecchie? Ricordo che, capitando abbastanza vicino a chi le indossava, solitamente a qualcuno assorto che fissava il vuoto con sguardo torvo, riuscivo a cogliere alcuni sfuggenti rumori, che pensandoci bene, sembravano un tipo di urla più distorte e rancorose rispetto ai toni di ogni caziatone che conoscevo.
Ascoltare altro, mi parve una motivazione plausibile e funzionale per schivare gli ammonimenti.

 

Passata l'estate all'ombra dell'ingenuo grembiulino blu, sempre macchiato da teneri residui di merenda, finalmente anche io entravo nell'olimpo dei ragazzi grandi. Attraversavo cautamente i corridoi della nuova scuola, studiando le usanze e i costumi della “popolazione locale”. Non capivo peró il senso degli imbratti che vedevo sui muri che mi avevano da poco accolta. Ai miei occhi, alcuni degli imbratti in questione, erano segni incomprensibili, privi di colori, angoscianti e brutti, ma forse non del tutto inutili, chissà?
Mi chiedevo quale fosse l'esigenza di rappresentare forme e lettere maiuscole storte, così visibili e ingiustificabili da provocare i commenti maldisposti degli insegnanti. Non si preoccupavano delle conseguenze che poteva causare la loro arma d'inchiostro sull'intonaco?
C'era da preoccuparsi eccome!
Un basso voto in condotta era una firma per ripetere l'anno!


…Eh già, I voti, odiose note vidimanti, verdetti indiscutibili, bolli impressi sui registri dei docenti, inquisitori dei giochi e persecutori di esperimenti clandestini. Con presunzione condannavano gli inetti, per l'inadempimento dei doveri! Puniti con cifre di scarso valore e delusione dei rispettivi genitori posti di fronte a un 4 indesiderato.
Ai cattivi pittori, non importava che un qualsiasi adulto autoritario potesse mortificare l'intraprendenza dei loro scarabocchi. Restavano lo stesso lì, alla luce del sole ad arricchire il pulito cemento con il tratto libero della propria essenziale realtà; così da restituire pan per focaccia a chi, aveva allo stesso modo, sporcato il pulito entusiasmo che avevano da bambini, con regole e leggi, non di certo più importanti delle rugginose voci provenienti dalle loro cuffie, note che io in seguito, desiderai tanto ascoltare.
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Oggi percepisco affievolite quelle passioni impresse su ogni tela che offre la città, sono molti meno gli adesivi sgargianti alle fermate degli autobus e chissà i pensieri incisi con rabbiosi compassi sui banchi di scuola. Trovo rare anche le proposte erotiche, sputate sulle porte nuove dei bagni dell'autogrill. Tutte quelle sporche macchie pubbliche, non sono in realtà sparite, ma a testa bassa si sono ritirate, spostandosi in modo ordinato e pulito sullo schermo piatto di vari dispositivi, più eleganti ma non più discreti del muro di un cesso. 

Emozioni, rimpicciolite e archiviate, citazioni vaghe, anonimi insulti, concetti dispersi nell'immenso e freddo calderone di internet. Marachelle intrappolate, schiamazzi soffocati, pianti congelati nelle emoticon, rabbia sedata, atti “vandalici” edulcorati. Gesti impulsivi nelle grinfie del web che mangia paure, mastica informazioni e sputa disprezzo in formato OTP. 

 

 

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