Incipit:

 

Sempre caro mi fu quest‘ermo colle, scrisse Leopardi. Come inizio della sua poesia ”L’infinito”.

Io che coltivo la passione della corsa oltre a quella della lettura e della scrittura. Ovvero suddivido il mio tempo per avere un “mens sana in corpore sano”. Non votandomi completamente alla poesia e alla scrittura come lui fece. Per scrivere qualche cosa che si prefigga, anche solo come obiettivo, di avvicinarsi ai suoi componimenti. Ho tutte le ragioni per cominciare il mio racconto con una frase di apertura simile. Confidando questo venga letto come una mia ispirazione e riconoscimento al suo lavoro. E non come una presunzione di paragonarmi all’illustre poeta Leopardi. Buona lettura. - Riccardo

 

Testo:

 

Ho trovato sempre piacevole vedere la brina che si posa sui prati.

La mattina, con le prime luci dell’alba.

In questo periodo invernale dell’anno.

Tipico delle città e dei comuni di provincia del nord Italia.

Come quello in cui sono cresciuto.

Il suo colore candido.

Senza bisogno si sia dovuto ricorrere alle nevicate.

Popolare.

Per pochissimo tempo, rimane irradiata dalla luce del sole.

Poi si tramuta in gocce d’acqua. Ovvero una rugiada brillante e sensazionale anche dopo. Ma questo racconto è esclusivamente per la candida brina.

C’è bisogno che ci siano distese di prati, che l’erba sia stata tagliata.

Però sono convinto che queste premesse, non costituiscano poi che grandi pretese.

Come un manto bianco che nessuno ha mai violato. Perché non ce n’è mai stato di tempo e di tempismo.

Talmente rapida che non consente nemmeno agli altri di proferire pregiudizi, sul modo in cui ci cattura l’attenzione.

Tela per l’immaginazione. Dove chissà quali cose lasciò disegnare a ogni suo osservatore, come lo fui io, quando era bambino.

Periodo in cui si poteva disegnare quello che si aveva dentro, quando si era ancora privi dei mezzi.

Prima che fosse giustamente mischiato a tutte quelle tele che avevano già dipinto gli altri.

Tela all’aperto.

Senza prezzo.

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