Passeggia, agile e silenzioso. Passeggia, immerso nelle ombre della notte, intervallate dalle luci giallastre dei lampioni. Passeggia, ricoperto dal suo vezzoso, striato manto corvino. Lento, come se la strada fosse sua. A quest’ora della notte, in questa periferia deserta, non c’è nessuno. Né a piedi, né in macchina. Solo rumori ovattati che arrivano da lontano.

Incede, regale e sicuro, altèro anche, con l’udito sempre pronto a carpire qualunque stonatura, qualsiasi interferenza crei, nei suoi sensi felini, un’avvisaglia di pericolo. Le vibrisse fendono l’aria, captando qualsiasi palpito l’attraversi.

Si ferma, leccandosi maniacalmente il buco del culo con la grazia di una vecchia puttana ormai priva di qualunque pudore. Si guarda attorno e, all’improvviso, si blocca. I muscoli tesi, l’olfatto espanso all’infinito, il muso che ondeggia freneticamente su e giù scandagliando l'aria. Volge lo sguardo verso un punto imprecisato, forse una finestra al secondo piano di un condominio che si erge dall’altra parte della strada. E dietro il cui vetro danza una piccola brace. Rimane immobile per interminabili istanti, quasi pietrificato. Analizza la fonte del disagio, la classifica, la considera insignificante; e ricomincia la sua flemmatica, indolente caccia notturna.

Si infila sotto una macchina parcheggiata, una Seat Ibiza nera, ne esce per balzare su un muricciolo. Entra in un piccolo giardino, scomparendo alla vista. Pochi istanti, ed eccolo ricomparire, sgusciando tra le sbarre scrostate di un cancelletto in ferro. Si ferma, si lecca freneticamente una zampa. Poi scompare dall’inquadratura della finestra, quella al secondo piano, dietro il cui vetro danzava, e danza tuttora, una piccola brace. Scompare nella notte, avvolto dalle tenebre.

La strada torna vuota. E silenziosa. Ad illuminarla, fiocamente, solo alcuni lampioni a disegnare nell’oscurità piccoli coni di luce funerea giallognola. Da lontano, da un qualche imprecisato angolo di questa periferia di cemento, ecco provenire un monotono, indolente brusio sordo di traffico notturno, mescolato al latrato lontano di un cane e al canto ritmico di un cuculo. Di stelle, in cielo, neanche l’ombra: la pioggia ha smesso di scendere, lasciando in eredità l’asfalto lucido, un odore umido e un cielo basso e greve. Gli uccelli notturni, invisibili alla vista, ma riconoscibili dal canto, fendono la notte incuranti degli umani affanni. Anche per loro è tempo di caccia. E di vita.

L’odore di pioggia, che si insinua nell’appartamento del secondo piano mescolandosi a quello denso del fumo, non è quello aspro e pungente, eppur piacevole, di ozono, che si diffonde dopo un temporale, ma quello muffoso di vestiti bagnati, lasciati per giorni nel cestello della lavatrice. Frammisto a tabacco.

Tra i pesanti refoli di fumo, altrettanto silenziosi, ma non altrettanto regali, si muovono due gatti. Anch'essi neri. Uno dal fisico bulimico, l’altro anoressico. Si guardano attorno, annusando perplessi l’aria stantia della stanza chiusa. Si acciambellano, uno su una sedia, l’altro in un angolo del divano, l’unico piccolo spazio lasciato libero dal fagotto di coperte distesovi sopra. E iniziano il lento, ossessivo rituale della toilette. Sbadigliano, si stiracchiano, si dirigono annoiati alle ciotole di plastica rossa, mangiano un paio di crocchette, miagolano, sbadigliano, si stiracchiano nuovamente. E tornano ad accoccolarsi.

La brace si spegne, il fagotto di coperte si muove, mostrando nella penombra un corpo femminile sottostante. Addormentato. Il respiro profondo, ritmico, lento fa sussultare impercettibilmente la superficie del fagotto di coperte. Spunta un piede, una ciocca di capelli castano scuro. Nel lavello, un paio di ciotole incrostate di pasta e fagioli.

Dalla parete, una fauviana Madame Matisse osserva la scena con sguardo intenso e fermo, noncurante della riga verde che le divide in due il volto.

Fuori, il cielo comincia a colorarsi delle prime sfumature dell'alba.

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