Con le prime nuvole basse arrivava la prima pioggia.

A volte quattro gocce, altre un acquazzone, in tutt’e due i casi sancivano la fine dell’estate e poco importava se fosse giugno o fine agosto, per me era così.

Il vento si incanalava tra le strade sferzando tutti quelli che avevano lasciato il mare per uno shopping con un po' di frescura. Il vento però era foriero di acqua. 

Sempre.

Mollai   le vie del corso per tornare a casa, il lungomare restava per me la parte più bella della cittadina rivierasca. La Palazzina Azzurra, una costruzione balneare di fine ‘800 rimessa a modo intorno al 1930 con l’ampliamento della passeggiata sanciva l’inizio di uno sbocco lungo il litorale lungo quattro km.

Ci vivevo da sempre, anzi a dire la verità non l’avevo mai mollata, la ridente città affacciata sull’Adriatico che mi aveva dato i natali.

Ok, avevo viaggiato, ovvio, l’Oktoberfest, Londra e Carnaby Street, Patpong e le sue bancarelle e locali a luci rosse, ma appena mi mancava l’aria, ritornavo a San Benedetto del Tronto.

A passo svelto passai di fronte al Progresso e come ogni volta mi venivano gli stessi due pensieri.

Il primo, che dove ora c’erano strade e palme, novant’anni prima c’era il mare e il secondo era che in una delle camere dell’hotel ci aveva soggiornato Erwin Rommel, la volpe del deserto.

Accelerai il passo e dopo cinque minuti arrivai alle due pinete. Qui da generazioni bambini e anziani venivano a passare il loro tempo correndo o sostando sulle panchine di pietra che da un secolo erano li. E dietro una coppia di pini marittimi c’era casa mia.

Villino Sass de Stria.

 Un nome strano per una casa al mare, ma il mio bisnonno ci aveva lasciato un braccio e aveva riportato il nome del posto dove aveva combattuto.

“Cento anni di storia.”.

Mi fermai un attimo a guardare quella che, dal 1918 era stata la casa della mia famiglia. La costruzione era antecedente alla prima guerra mondiale, quando in pochi abbandonavano il centro abitato dentro le mura e si lasciavano attrarre dal mare a qualche   metro.

Mattoncini rosati e un paio di bifore davano una nota austera alla piccola torretta al centro, l’abitazione si estendeva a destra e sinistra piantando le radici oltre la recinzione e giardinetto.

Il vecchio Federico l’aveva portata via per quattro soldi, ne aveva cambiato il nome per attrarre un po' di fortuna dalla sua parte.

Si perché con la perdita del braccio era terminato anche il lavoro di pescatore e con esso l’inizio di una nevrastenia scaturita tempo prima nelle trincee.

Entrai, lasciai le chiavi sul tavolino all’ingresso e andai in cucina.

“Contessa, buonasera…”.

Aprii il rubinetto e riempii un bicchiere.

“Gradisce dell’acqua?”. Risi e bevvi avidamente.

La donna seduta sulla sedia accanto alla finestra che dava sul giardino, non mi degnò di uno sguardo, continuava a guardare oltre.

“Comunque stasera pesce fritto… lei gradisce, vero?”.

Mollai le buste della spesa e salii verso la mia stanza nella torretta. La finestra dalla parte della bifora era rotta. Da tempo il vetro e parte dell’intelaiatura erano venuti via.

“Colpa del vento.”. Pensai tristemente.

Tac… Tac…

“Herr Oberleutnant.”. Risposi al saluto del graduato che era in piedi sul pianerottolo tra le camere.

“Tutto bene tenente Meyer?”.

Passai oltre e lasciai il teutonico militare da solo coi suoi pensieri.

Camera mia era il vero forte Alamo che mi proteggeva da tutto e tutti.

La vita si sa che non sempre è liscia e quando si imbastardisce sa fare del male, ma lì e solo lì dentro, mi sentivo un re. 

Dopo la morte dei miei tutta l’eredità era arrivata nelle mie tasche e la maggior parte l’avevo spesa in alcol e donne. Poi però con l’aiuto di uno psichiatra ero andato a esplorare i meandri della mia mente.

Il fatto che il bisnonno Federico avesse comprato per pochi soldi il villino era balzato subito all’occhio di tutti, un po' per l’invidia dei compaesani e un po' per curiosità.

Si perché il villino Sass de Stria, precedentemente era villa Miriana Strozzi. La contessa che era da basso.

La donna si era ammazzata per amore in cucina e il fantasma era lì dal 1890.

Nelle poche centinaia di lire del prezzo della casa includevano anche tutto l’orrore nel suo interno.

Il tenente Meyer si era sparato in testa quando aveva saputo che la servetta di cui si era innamorato nel ’43, una povera crista che mia nonna aveva preso a servizio, era ebrea. Durante l’occupazione era l’attendente di un pezzo grosso delle SS che l’aveva fatta deportare e per il dolore si era fatto saltare le cervella.

Poi c’era l’ultimo fantasma quello più recente, quello che si era lanciato nel vuoto dopo aver scoperto di avere l’aids. Una vita fatta di droghe e rapporti promiscui finita con una malattia devastante.

“Pure Freddie Mercury se l’è beccato, figuriamoci…”.

Ripassai accanto a Meyer   che mi salutò di nuovo battendo i tacchi. Per tutta la vita avrei avuto tra i piedi lui e quell’altra fregnona della contessa. Tutto il giorno in cucina ad aspettare l’amore.

Per paradosso, sia la serva di Meyer o quello che aveva fatto innamorare la Strozzi non potevano entrare.

“Eh no, solo chi è schiattato qui vi rimane per sempre.”.

Il mio bisnonno, Maria sua figlia, i miei genitori, tutti trapassati in un altro luogo, chi in ospedale o chi come il povero mutilato, nel 1935, con un infarto al porto di San Benedetto.

Chi moriva nella casa restava nel suo interno. Quel rudere dietro la pineta aveva cominciato a sfaldarsi dopo che mi ero buttato dalla finestra.

Si, il terzo fantasma ero io. Nel 1986 mi ero beccato l’ Hiv e la maggior parte delle persone mi aveva cominciato a schifare, così  in un pomeriggio ventoso, mi lanciai dalla torretta.

Splat!

Il comune ha messo all’asta villa Sass de Stria, ma nessuno è interessato.

I mattoncini una volta rosa ora sono ricoperti da rampicanti, la cucina e le camere devastate da vandali e curiosi che con la scusa di vedere un fantasma nei trenta tre anni successivi alla mia morte, ne hanno fatto scempio.

“Buonanotte Meyer…”.

Tac.

“… l’aspetta lei la fregnona?”.

Il tenente abbozza un sorriso ed estrae la Luger portandosela alla tempia.

Io me ne vado accanto alla finestra aspettando un terremoto o qualsiasi altra cosa che faccia crollare la casa. Liberandoci.

 

 

 

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