«Buongiorno a tutti», dissi sforzandomi di parlare meglio che potevo, «qualcuno può spiegarmi come funziona?»

 Le due persone che in quel momento stavano occupando il locale, seduti su due panche piuttosto spartane addossate ai muri, si girarono a guardarmi ed uno di loro finalmente si degnò di rispondermi:

 «Ok, è veramente facile, hai una carta di credito?»

«Sì», era già in mostra nelle mie mani, «Posso fare tutto con questa?»

«Certo. Se non hai il detersivo, puoi usare il distributore automatico all’ingresso.»

«Grazie. Ho il mio».

Ero in una lavanderia a gettoni non troppo lontana dall’hotel in cui alloggiavo, a Bangor in Maine negli Stati Uniti e non ero mai stato in quel posto prima di allora. 

L’ambiente, come si addice all’uso, era essenziale: sei macchine lavatrici sulla parete di destra, di tre misure diverse per soddisfare tutte le esigenze, e quattro capaci asciugatrici allineate sulla sinistra. In mezzo alla stanza due tavoli per la piegatura dei vestiti e, in un angolo, un salottino per l’attesa.

In quel momento i posti a sedere erano occupati da due uomini: uno di mezza età con barba e capelli tendenti al rossiccio, un po’ selvaggi, e poi il giovane che mi ha risposto, di colore, approssimativamente sui 25 – 30 anni che mi sorrideva curioso. Forse era contento di poter fare due chiacchere.

Dopo qualche esitazione mi chiese: 

«Ehi “man”, da dove vieni?»

Confesso che facevo fatica a capire il suo accento. È una difficoltà, quella degli accenti, che ho sempre avuto e che non sono mai riuscito a superare, parlando in inglese. Comunque risposi:

«Sono italiano e mi trovo qui a lavorare per qualche mese. Ovviamente devo lavarmi i vestiti, di quando in quando» conclusi con il migliore sorriso che potessi sfoderare. 

Anche questo è un altro dei grandi problemi della mia vita: io sorrido… ma “dentro”. Quando penso di essere contento e di ridere, in realtà lo faccio principalmente dentro di me. Esteriormente arriva poco o nulla: percepisco soltanto un leggerissimo rilassamento delle labbra e dei muscoli intorno agli occhi ma sono sicuro che, per chi mi guarda, questo movimento sia appena visibile. 

Per questo, quando voglio che sia notato, devo sforzarmi un po’.

«”Very good”, forza allora. Fai quello che devi, poi faremo conoscenza. Il mio nome è Alvin».

«Ok» e mi avvicinai ad una macchina di medie dimensioni. Misi tutto quanto nel cestello, presi una dose di detersivo dalla mia scatola di “Tide” e lo versai nella vaschetta. Scelsi il programma di lavaggio, inserii la carta di credito nella fessura e poi avviai. Fu facile.

Intanto che riponevo il detersivo non potei fare a meno di ricordarmi della mia infanzia, quando questa stessa marca di detersivo veniva venduta nelle nostre strade, a Piacenza dove sono nato e cresciuto.

Naturalmente noi lo pronunciavamo alla italiana: ”Tide” e non “Taid” come in America che significa “marea” e che richiama il movimento dell’acqua durante il lavaggio. 

Nel nostro quartiere, a Piacenza, veniva un venditore ambulante alla guida di un “Ape Car” carico di detersivi, scope e altri oggetti colorati. Quel detersivo in particolare, venduto in scatole di cartone da un chilo, aveva la particolarità di contenere una sorpresa: pupazzetti che non valevano niente ma che ci facevano provare l’emozione della loro scoperta tra la polvere bianca. Come ho già detto erano tutte cose che non valevano nulla, tanto che ancora oggi, ad indicare qualche cosa di poco valore si chiede (parlando nel dialetto piacentino): «lo hai trovato nel TIDE?».

Quando mi trasferii in America, fui piacevolmente sorpreso di trovare nei supermarket scaffali pieni di questa marca di detersivo, mentre in Italia era diventato introvabile. Per un meccanismo inspiegabile, ogni volta che prendo in mano la scatola, ancora adesso, scattano tutti questi ricordi.

Alla fine, mi avvicinai ad Alvin:

«Io mi chiamo Savino. Vivi qui?»

«Sì, vicino all’Ospedale. Non ho lavatrici in casa. Per questo vengo qui».

«Io trovo questo sistema più comodo che lavare in casa. In un paio d’ore si hanno tutti i vestiti lavati, asciugati e anche stirati… più o meno» conclusi accompagnando la frase con l'oscillazione del palmo della mano destra aperto.

«”Oh Yes, definitely”», mi rispose con un sorriso che si allargava fino alle orecchie, mettendo in mostra i denti bianchi in un viso che era il ritratto dell’allegria. 

Quello sì che era un sorriso, mi dissi.

«Vivi da solo?» gli domandai?

«No, con la mia ragazza. Lei oggi lavora e quindi tocca a me.»

«Perfetto. Che lavoro fai?»

«Sto lavorando in un “Jiffy Lube” non molto lontano da qui. Ma è un lavoro provvisorio»

«Certo! Non si può morire in un “Jiffy Lube”» concordai. Sono luoghi dove è possibile cambiare olio alla propria autovettura in pochi minuti e se ne possono trovare a diecine nelle città americane. Impiegano principalmente personale giovane pagato alla tariffa minima consentita e per molti ragazzi si tratta del primo impiego, in alternativa ai McDonald’s oppure altre catene di distribuzione di quel livello.

Mi chiese di me e dovetti spiegare che mi trovavo in America per un paio di anni, assunto da una ditta americana e che stavo seguendo l’installazione di un macchinario in una ditta che aveva sede in Bangor. Sarei dovuto stare in zona per diversi mesi e stavo organizzandomi con l’alloggio, i ristoranti e, naturalmente, anche una lavanderia. 

«Anch’io sono un tecnico. Ho studiato al college, ma ora mi devo accontentare.»

«Bravo. Dai! Sono sicuro che troverai qualche cosa di meglio! Per fortuna anche la tua ragazza lavora, hai detto»

«Sì, è una cassiera al Wallmart».

«Anche lei non guadagnerà troppo, penso», dissi io.

«Eh già. È dura arrivare a pagare tutte le spese.».

«Abiti in un appartamento oppure in una casetta?» chiesi.

«Abito in una casa mobile», disse lui. 

A quel punto diventai curioso: Avevo visto questo tipo di abitazioni in aree dedicate e mi era anche capitato di fare jogging in un quartiere di questi. Le casette possono sembrare containers appoggiati a terra ma, viste da fuori, sono molto bene attrezzate. Hanno finestre con davanzali spesso ornati da fiori, un giardinetto, un aspetto ordinato. Tutto il quartiere, “block” come si dice da quelle parti, è immerso nel verde. I giardini e gli alberi intorno sono pieni di scoiattolini che si rincorrono. 

Mi facevano venire in mente Cip e Ciop che facevano i dispetti a Paperino. Mi sembrava un mondo sereno. 

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