Mia zia era sempre stata una persona con tante buone intenzioni.

Ricordo che uno dei suoi pallini era proprio l'ospitalità: vagabondi senza un posto fisso con condotta nomade, senzatetto occasionali, gente comune raccattata qui e là e persino esuli stranieri. Quella volta tuttavia aveva superato sé stessa: aveva addirittura deciso di ospitare per qualche giorno, in periodo natalizio, un giapponese di nome Shinichi che, stando a quanto ci aveva detto lei, aveva una storia difficile alle spalle e nessun parente in zona.

E ci credo, era giapponese. Ma andiamo oltre.

Costui appariva come un tipico orientale: basso di statura, serio, silenzioso e molto discreto, oltre a essere rispettosissimo di chiunque incontrasse. Non ultimo, non sapeva una sola parola di italiano, nemmeno 'ciao'. Non ho idea da dove fosse uscito questo tizio con l'aria di chi era appena scampato a un gulag, ma la zia ce lo presentò in pompa magna vantandosi pure di averlo convinto senza sforzo a passare il Natale con noi.

Che poi, Natale… cosa significasse davvero per lui non era dato saperlo. Hai voglia a chiederglielo. Noi bambini dal canto nostro, poiché il suo nome ci appariva strampalato, lo ribattezzammo Scandicci, nome segretamente adottato in seguito da più di uno dei nostri parenti, ma non dalla zia.

Ancora oggi mi chiedo se quel poveraccio sapeva cosa fosse il Natale. Personalmente qualche dubbio ce l'ho ancora oggi, dato che lo vidi fissare l'albero di Natale dei miei zii per una ventina di minuti buona, inebetito manco fosse davanti a una divinità. Inoltre quando qualcuno, credo fosse stato proprio mio zio, andò a dargli un colpetto per vedere se era ancora vivo, lui lo guardò con un'aria stranita e pochi istanti dopo rischiò di fulminarsi col Babbo Natale a pile.

Usanze a parte comunque, quello che mia zia avrebbe dovuto fare e che puntualmente ignorava in casi come questo era informarsi sulle idiosincrasie di gente come Shinichi. Si sa, alcune abitudini occidentali a noi consuete per loro sono inconcepibili e viceversa. Una fra tutte, la faccenda delle serrature a chiave, in Giappone un filo diversa da qui, specie da quelle di una volta.

 

La mattina della Vigilia anche mia zia dovette rendersene conto. Infatti il buon Scandicci pareva piuttosto agitato e farfugliante; solo grazie a una mugugnata modulata da parte sua e a un numero da mimo talmente scadente da farci credere che stesse avendo un ictus, riuscì a farci capire di dover andare in bagno. Poiché il bagno di sopra era occupato dalla nonna, lo mandammo in quello da basso; ricordo bene quel momento perché mi trovavo con mio cugino proprio nei pressi della scala e lo vedemmo scomparire, inghiottito dalla penombra del piano di sotto. Per circa un'ora nessuno lo vide più.

Fu mio cugino Vittorio a trovarlo. Si era recato da basso in seguito a una sua vaga intuizione mista al desiderio di provare le tartine che mia madre stava preparando ed era stato attirato da una specie di cigolio proveniente dal bagno. La porta era chiusa a chiave, ma avendone una di riserva fu facile aprirla. E lì trovò Scandicci.

 

Con un po' d'impegno, di pazienza e di fantasia riuscimmo a ricostruire il terribile evento, dato che lo stesso Scandicci era praticamente fuori questione. In sostanza, il poveraccio aveva scambiato la vecchia chiave per una sorta di oscuro meccanismo obbligatorio per accedere alle funzionalità del bagno e aveva finito per chiudersi dentro, non avendo capito che bastava girarla in senso opposto per aprire la porta. Così era rimasto intrappolato con tanto di chiave a piena disposizione.

Nel lasso di tempo tra la sua grandiosa idea e il momento in cui era stato riesumato era accaduto, nell'ordine: aveva cercato di aprire la porta fino a stuprarla, facendo cadere la chiave nel water dalla foga; era rimasto per un quarto d'ora esatto a ragliare in mezzo alla stanza; aveva raspato a porta e finestra stile cane, uggiolando pure; era stato colto prima da una crisi mistica nella quale si era visto come reincarnazione divina e poi da una gravidanza isterica alla fine della quale aveva partorito un tubetto di dentifricio che nessuno volle più usare; aveva tentato di sopravvivere cibandosi di sapone d'alga Guam, altra cosa che nessuno volle più utilizzare; aveva parlato con suo nonno in persona (noi ipotizzammo che lo specchio avesse giocato un certo ruolo in questo); aveva scritto le sue ultime volontà sulla tenda della doccia (in giapponese. Non si capiva una madonna.) e, dopo aver fallito un harakiri con lo spazzolino elettrico, si era rintanato nell'angolino umido tra il water e il termosifone, mugolando e succhiandosi il pollice. In tutto questo si era pure dimenticato il motivo per cui era andato in bagno, per cui l'ambiente puzzava notevolmente.

Tutto ciò in neanche un'ora.

C'è da dire che comunque passò un buon Natale, anche se credo fosse convinto di aver disonorato la sua famiglia, antenati compresi. La zia inoltre dovette faticare non poco per evitare una specie di incidente diplomatico, dato che intuimmo volesse dirle due paroline non troppo amichevoli.

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