Per me è difficile calcolare il tempo, i giorni, i momenti. So che esiste un passato pieno di suoni, odori, zuppa calda, corse e giochi. È un lungo presente che scivola via, per tornare uguale ogni mattina. Eppure qualcosa è cambiato e mi graffia dentro, come una minaccia.

Ricordo il sole nascosto dietro il bosco, le ciotole piene, il serraglio spalancato, per lasciarmi trottare in cortile e tendere finti agguati dietro i vasi del rosmarino. Ricordo la carezza stanca, il passo incerto di Tonio e l'appetito che mi spinge verso la zuppa.

Il mio sonno leggero, interrotto da rumori lontani, non può sbiadire le ultime immagini e il risveglio non è allegro come al solito. La cuccia è tiepida e l'aria sa d'erba e polvere, ma le voci del cortile sono troppe e stuzzicano la memoria. Io conosco già il branco dei nipoti e non mi piace. Devo uscire dalla cuccia e dare un'occhiata al territorio.

Il serraglio è aperto, ma nessuno riempie le ciotole di zuppa e d'acqua fresca. Loro sembrano nervosi e io non ho voglia di correre. Gironzolo davanti alla casa e cerco di entrare nella grande cucina zeppa di roba odorosa: la dispensa, il secchio, la scopa nell'angolo e il mio bel tappeto morbido, vicino al sofà di Tonio.

Fiuto l'uscio socchiuso, ascolto voci estranee e spio il branco attraverso la fessura. Quella gente si è impadronita della stanza, ha aperto l'armadio freddo e mangia il nostro cibo. Forse il mio amico a due zampe dorme ancora nella sua enorme cuccia, piena di cuscini e odori familiari. Lo sveglierò con una leccatina e un mugolio. Non posso abbaiare e farmi scoprire dal branco dei nemici.

Anche l'altra porta sembra accostata. La apro con la zampa e scivolo in camera. Lui è sdraiato sulla schiena, con gli occhi chiusi, ma il suo odore mi spaventa. Lo annuso per bene, poi cerco di scrollarlo e di mugolare qualcosa nel suo orecchio freddo.

«Tonio, alzati, preparami la zuppa, bevi il tuo latte. Dobbiamo ritornare in forze per scacciare gli invasori.» Appoggio le zampe sul cuscino e premo il naso contro la guancia rigida. «Muoviti, di' qualcosa. Non mi riconosci più? Sono Vuk, l'amico, il fratellino.»

Lui resta immobile e dal suo naso non esce il soffio tiepido che uomini e cani chiamano vita. Il mio cuore batte come un martello e la gola cerca l'aria. Un vecchio cane annusa sempre la verità, anche se fa male. Tonio è uscito dal suo corpo per correre nei prati del Grande Capobranco.

Perché non mi ha chiamato, perché ha fatto tutto da solo?

Una donna spalanca la porta e comincia a urlare. Io scappo di corsa, facendola inciampare. Gli uomini mi inseguono nel cortile e lungo il sentiero, gridano, tirano sassi, poi non sento più nulla.

Galoppo alla cieca finché la fame e la sete mi rubano l'energia.

Alzo la testa e tento di guardare il sole. È un'enorme boccia rovente, immobile sopra la collina. Le stoppie del grano mi pungono le zampe e sento la lingua penzolare, calda e asciutta. Sogno una pozzanghera fresca, per bere o immergere il naso nel fango. Almeno potrei sentire gli odori giusti e fiutare la strada di casa.

So che è un’illusione, una pazzia. Non posso tornare. Senza Tonio, non ho né casa né branco.

Esploro un sentiero sconosciuto e capto odori nuovi, mi fermo ad annusare i cespugli, mangio un po’ d’erba e riprendo a correre.

Il sentiero taglia campi, prati e filari, poi si trasforma in una discesa. Lo stradone, nero e caldo, brucia le zampe. Il profumo d’erba e le tracce di lepri, fagiani, topi, tassi o ricci si spengono in un miscuglio di odori aspri. Le macchine mi sfiorano a una velocità paurosa e io cerco di rasentare il fosso.

Anche Tonio ha una vecchia Campagnola, ma è inutile sperare di vederla e di saltare nel bagagliaio. Il suo corpo senza soffio non può guidare, cercarmi e sciogliere questo terrore.

La strada si fonde con i prati, le case e il cielo, il cuore batte all’impazzata, la striscia bianca mi corre incontro e io non vedo più il fosso.

Una botta secca spezza l’incantesimo e un dolore rabbioso mi lega a una vita che non voglio. Digrigno i denti, chiudo gli occhi, e il respiro sembra morire dentro di me. È un attimo tremendo, poi il dolore sparisce all’improvviso e finalmente vedo Tonio. Riconosco i suoi gesti mentre si accuccia, sorride e mi saluta con la mano. Io corro verso di lui, cerco il suo odore e tutti i profumi del mondo.

Il Grande Capobranco non ha dimenticato nulla: prati, alberi, fango, acqua fresca. E una magia nuova, imprevedibile: l’odore dell’amicizia e della felicità.

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