Stamane la sveglia è suonata alle quattro. Non esattamente l’ideale, visto che ieri sono stato fino alle undici ad aiutare Joshua, il mio bimbo di nove anni, a fare i compiti. Quelle stramaledette sottrazioni proprio non ci venivano, però quanto ci siamo divertiti: abbiamo riso un sacco e, alla faccia di tutti, alla fine ce l’abbiamo fatta.

Io non sono un genio, anzi. Ho fatto a stento le medie, ma mi applico molto, soprattutto nelle cose che conosco poco. La matematica non è proprio la mia passione, eh, però da quando la studio con mio figlio mi affascina. Mi diverte arrivare alla fine di un problema usando solo i numeri: in fin dei conti è concreta, ma anche filosofica, se vogliamo.

Del resto, quel tizio con la barba che visse a Siracusa… come si chiamava? Ah sì, Archimede! Un grande matematico, ma anche un filosofo con le palle. Non uno che scrive una frasetta sul senso della vita, ma uno che usava numeri e formule per dare senso a ciò che aveva intorno. E lo faceva bene, chiedete ai Romani quanto lo faceva bene.

Comunque, sì, lo so che è domenica e dovremmo riposarci, stare in famiglia. Ma i soldi non bastano mai. La mia piccolina, Meredith, deve comprare le scarpette da danza. Ha solo otto anni, eppure ci sa fare dannatamente bene con i passi di danza, lo capisco persino io che l’ultima volta che ho ballato sarà stato alla sagra della trota di Barton venticinque anni fa.

Quindi, quando venerdì il caposquadra mi ha chiesto se volevo guidare quattro uomini per rifare quel tratto di ferrovia a Leeds, ho detto subito di sì. Le domeniche lavorative le pagano tre volte i giorni normali, e io ne ho bisogno.

Piove oggi, fa freddo, e sto in sella a questo maledetto camioncino con le sospensioni da revisionare. Lara mi ha preparato due termos di caffè caldo, panini e biscotti. Santa donna… senza di lei cosa sarei? Niente.

Stamane si è alzata e, mentre facevo una doccia calda, mi ha preparato la colazione. Poi mi ha detto che porterà i bambini da mia cugina Bernadette: si divertiranno e io non devo preoccuparmi. Io dico: «Va bene». Lei mi ha dato un bacio in testa e mi ha accarezzato la spalla, non c’era bisogno di dire altro.

Fuori era ancora buio pesto. Vado a prendere i miei uomini. La stessa squadra con cui lavoro da diciannove anni, tranne uno, un certo Mitch che è arrivato da Londra da poco, però sembra in gamba: gente fidata, che sa usare gli attrezzi e non fa cose stupide.

Quando lavori in campagna, sui binari, devi stare attento: il pericolo può arrivarti addosso a trecento all’ora e di te non resta neanche un granello di polvere. Quel posto dove andiamo oggi non mi piace. È una curva nel bosco, piuttosto stretta, dove non hai visuale: il treno può sbucare all’improvviso.

Certo, ho il foglio di lavoro con gli orari precisi in cui il traffico verrà deviato per consentirci di operare in sicurezza, ma non mi fido lo stesso. Due anni fa, una squadra come la nostra, nella zona di Birmingham, venne falciata perché il capostazione dimenticò di accendere il semaforo. Disse di essere convinto di averlo fatto, ma per colpa della nebbia nessuno vide il rosso. Quattro operai morti, e nessuno se ne accorse per ore.

Comunque, la mia squadra oggi è la migliore possibile. Sto andando a prendere Bart, il miglior saldatore del nord Inghilterra. Per lui la saldatrice non è uno strumento di lavoro, è più uno strumento musicale: come la chitarra per Jimi Hendrix. Peccato che il prossimo anno andrà in pensione. Un buon saldatore, per giunta anziano, non lo trovi facilmente.

Bart parla poco, ma pensa in fretta e agisce ancora più in fretta. Lo trovo già in strada, ad aspettarmi. Giubbotto aperto, camicia a quadri, cappello da pescatore in testa. Sorride appena mi vede: sono puntuale come sempre e lui lo sa. Per questo andiamo d’accordo: siamo tipi concreti, che badano al sodo.

Lo sento caricare la saldatrice e gli attrezzi nel vano dietro, poi mi sale accanto. Bart dice: «Se dopo dovesse piovere, ho portato un telone e delle corde». È il suo modo di dirmi buongiorno. Annuisco grato: al problema della pioggia non avevo proprio pensato, anche se in questa stagione non sembra fare altro.

Stramaledetta pioggerellina all’inglese: così la chiamano nei romanzi, ma in realtà quella bastarda ti entra ovunque e ti si appiccica addosso, fredda, glaciale. La sera ti ritrovi con quaranta di febbre, e Dio solo sa se possiamo permetterci di stare a casa malati, senza indennità e straordinari.

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