Elide era brava a scoprire le creature nascoste nelle pietre. Osservava muta il loro profilo, raccoglieva i capelli sulla nuca e sfilava i pennellini dalla custodia. I colori obbedivano ai suoi pensieri e dai sassi uscivano coccinelle, gattini, lucertole, gechi, scoiattoli e pesciolini. Io ero felice e non mi stupivo. Ero una bambina strana che ascoltava lo scroscio della linfa dentro le vene dei sassi. Elide era l’unica persona che non rideva delle mie convinzioni. A volte i frammenti di roccia producevano bisbigli. Sospiri blandi simili a quelli che si odono dentro le conchiglie. Speravo che un giorno avrei decifrato il loro linguaggio segreto e scoperto il senso dell’amicizia che si era stabilita fra di noi. Amavo il luccichio con cui accoglievano il nuovo giorno e il pensiero segreto che il vento rapiva al loro spirito. Invidiavo il muschio felice che le abbracciava stretto, tra sentore di minerali e di pioggia. Le edere grate per il loro sostegno, i glicini prodighi di grappoli profumati e i gelsi che le imbrattavano con le loro more scure e appiccicose. Ascoltavo l’eco che producevano sotto le mie scarpe o i miei piedi nudi. Il gracidio sotto le ruote della bici e dei pattini. Le osservavo prendere le sfumature del buio prima di andare a letto.

Venne quella notte strana. Sentivo il bisbiglio sofferente delle pietre come se qualcuno me ne avesse riempito il cuscino. Mi alzai silenziosa e scalza raggiunsi la finestra senza imposte. La luna generosa distribuiva il suo sorriso pieno e gettava veli di luce sulle case di paese piene di rughe. Latrati soffocati alimentavano un senso di attesa incombente. Mi venne da pensare a Elide e sentii un bisogno acuto di andare a svegliarla. Sgattaiolai furtiva fuori di casa lasciando la porta socchiusa per il rientro.

I minuscoli ciottoli che lanciavo scricchiolavano sulla finestra di Elide finché lei non comparve dietro al vetro. Intuivo, più che vederla, la sua sagoma immobile che mi guardava cercando di capacitarsi. Poco dopo spinse il chiavistello del portone e mi raggiunse fuori.

         “Le pietre non mi lasciavano dormire e ho pensato a te”.

Elide mi abbracciò sorridendo. Era scesa con uno scialle da mettermi sulle spalle.

         “Vieni che ti accompagno a casa”.

Galleggiava ancora a mezz’aria la parola casa quando la terra ci allarmò con un urlo torbido che attraversò il suo ventre nascosto. Le mie amiche pietre persero il controllo scrollandosi come investite da un tornado. L’aria immobile e densa si riempì di frastuono e i profili delle cose presero a scomporsi disordinatamente. Elide mi stringeva forte mentre il mondo sembrava polverizzarsi e il nostro respiro affannoso sapeva di sabbia amara.

Quando il sole tornò, accese il paese con una luce di cenere. La casa di Elide era sdrucita. Accasciata su sé stessa come un abito senza cuciture. Fu allora che lasciò la mia mano per raccogliere una pietra. Ricordo ancora che la accostò alle labbra e la sfiorò con un bacio.

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