Luca era appena tornato in città. Sceso dal treno, si era caricato il borsone in spalla e aveva dato una bella occhiata in giro. Non riconosceva più niente: la Stazione Centrale era tutta diversa da come se la ricordava, solo la cappella e il posto di polizia erano ancora lì dove li aveva lasciati quindici anni prima, in una vita precedente. 
Trovò i bagni pubblici, adesso erano a pagamento, un euro, ma non era un problema, i soldi ce li aveva, non come l'ultima volta. 
Tirò fuori il suo vecchio rasoio a mano libera, ma le dita gli tremavano troppo, gli succedeva sempre quando non beveva. E nonostante questo, non poteva toccare alcol, non poteva permetterselo, non dopo quello che aveva fatto. Si tenne la sua barba di tre giorni – tanto era durato il viaggio che lo aveva riportato a Milano.
Lei viveva ancora in città, ne era certo. I pochi amici comuni rimasti, internet e i social network, tutto puntava nella stessa direzione. Tuttavia non sperava di trovarla nel vecchio appartamento, era passato troppo tempo. Sapeva anche che non sarebbe stato facile rintracciarla, ma doveva riuscirci a tutti i costi, non poteva lasciare quel conto in sospeso.
 In metropolitana cercava conforto e sicurezza nelle facce stravolte dei pendolari, nei senzatetto che chiedevano l'elemosina con lo sguardo perso nel vuoto, nelle vecchie aggrappate a tablet che neanche sapevano usare. 
Ma nessuno di loro aveva le risposte che gli servivano, poco ma sicuro.
Provò nel bar dove lei faceva la cameriera ai tempi, quando si erano conosciuti, anche se adesso era diventato un posto elegante, con proprietari cinesi e baristi in giacca. Ma per sua fortuna qualcosa, o meglio qualcuno, era rimasto dalla vecchia gestione. 
Mentre combatteva l'impulso di ordinare almeno una vodka – erano le dieci di mattina, orario perfetto per cominciare con la roba seria – si sentì chiamare da dietro le spalle.
«Ma sei proprio tu? Con che coraggio torni qui?». C'era una rabbia antica nella voce. Luca si voltò. Era uno di quei bravi ragazzi che proprio non si rassegnano a vedere la bella del gruppo andarsene, sera dopo sera, sempre con il bastardo ubriaco che la picchia. Entrando nel locale, non lo aveva riconosciuto. I bravi ragazzi invecchiano male, non c'è dubbio.
«Sì, sono io. E sono tornato per riprendermi quello che è mio» lo provocò.
Il bravo ragazzo estrasse dalla tasca un coltello a serramanico, uno di quelli belli, impugnatura lavorata e lama lucente, fresca di affilatura. Un po' troppo elegante per essere mai stato usato in una vera rissa, ma comunque utile per far colpo sulle ragazzine ingenue. 
Luca fu rapido e deciso, lo lasciò steso a terra e se ne andò prima che il barista in giacca si riprendesse dallo choc e chiamasse la polizia. Chissà, magari il bravo ragazzo aveva anche il porto d'armi in regola.
Fuori l'aria fredda di quel mattino autunnale lo investì come un pugno ai reni. E all'improvviso ricordò: c'era una sorella, lei aveva una sorella. 
Attraversò tutta la città, salendo e scendendo dai mezzi pubblici, gli anni cominciavano a pesargli sulla schiena. Per qualche strana ragione aveva dimenticato molte cose in quei quindici anni, ma non
l'indirizzo di sua sorella, quello gli era rimasto impresso nella memoria. Sempre ammesso
che non avesse traslocato anche lei, nel frattempo. Ma Luca era uno che si fidava della sua fortuna – si fidava anche più di quanto avrebbe dovuto, per il suo bene – e infatti ritrovò il nome sul citofono del palazzo. 
Si finse il postino per farsi aprire, fin troppo facile. Arrivato al piano, suonò il campanello con delicatezza, per non mettere in allarme la donna, ma appena quella aprì la porta, gettò il suo borsone nello spiraglio per impedirle di richiudere e saltò dentro l'appartamento, mentre la padrona di casa si
rifugiava in camera da letto. Niente bambini, probabilmente erano scuola, meglio così, non gli piacevano le distrazioni. La seguì, le strappò di mano il cellulare prima che potesse chiedere aiuto a qualcuno e poi si fece dire dove abitava lei. 
A volte una cattiva reputazione può tornare molto utile: le persone che incontri ti conoscono e non ti
conoscono, hanno sentito storie su di te, fanno quello che vuoi senza protestare, solo per paura di quello che potresti o non potresti fare.
Recuperò il suo borsone e si allontanò più velocemente possibile, c'era il rischio che qualche vicino zelante avvertisse la polizia. Corse per qualche isolato e poi finalmente si fermò per tirare il fiato. Proprio davanti a lui c'era un bar – in una grande città come Milano ci sono tentazioni dietro ogni angolo, tra enoteche e supermercati a dieci corsie.
Difficile resistere, ma doveva farcela, doveva restare sobrio, per lei. Una birra, però, non gli avrebbe fatto male. In fondo non si era mai ubriacato con la birra, nessuno si ubriaca davvero con la birra. Quando ebbe finito la sesta bottiglia da 66 centilitri, era pomeriggio inoltrato e in strada era già buio. Si sentiva gonfio e leggermente euforico, ma ancora abbastanza lucido per riprendere la sua ricerca. Mancava poco ormai. Per stare tranquillo, chiamò un taxi, niente tram e autobus, meglio così.
Davanti al portone del palazzo dove lei viveva, esitò. Si era preparato un bel discorso, da intellettuale impegnato, lo aveva provato varie volte, anche davanti allo specchio, come nei film americani.
 Era rimasto sobrio tutto il giorno – più o meno, a parte le birre,ma solo sei – e infatti adesso aveva una voglia disperata di bere, fosse anche solo vino in cartone. Ma doveva controllarsi. 
Poco dopo, dentro, lei tremava di paura, ma lui tremava di più per l'astinenza da alcol. 
Entrando, aveva urtato un vaso enorme e pesante, alto più di un metro, e quindi gli faceva male il piede, ma doveva tenere duro e rispettare il copione che aveva preparato con tanta cura. 
Niente casini questa volta, non come quindici anni prima.
«Perché sei tornato? Cosa vuoi ancora da me?» chiese lei. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Non due lacrime buttate a caso, ma proprio un pianto dirotto. Non aveva molto tempo.
Respiro profondo e via.
«Sono qui per chiederti scusa» cominciò, e sperava tanto di suonare convincente «scusa per tutto quello che ti ho fatto, le botte e i tradimenti e tutto il resto, e scusa anche per quello che non ti ho fatto, per le carezze mancate e per i compleanni dimenticati e per l'amore che non ti ho dato».
Era fatta, l'aveva recitato alla perfezione: niente errori e niente incertezze. Da non credere.
Lei restò immobile, con un'espressione indecifrabile. 
Sorpresa? Sconvolta? Terrorizzata? Luca non avrebbe saputo dirlo, ma in ogni caso non si aspettava nessuna risposta, voleva solo chiudere quel conto in sospeso – uno dei tanti – e lasciarsi alle spalle
almeno una brutta storia, poi avrebbe pensato alle altre. 
Si voltò per andarsene, senza fretta, lei non avrebbe chiamato la polizia, non lo avrebbe tradito, almeno questo. 
Ma prima che potesse raggiungere la porta e uscire, sentì una fitta profonda di dolore alla base del cranio, come un colpo pesante. Doveva essere quel maledetto vaso. Ma come aveva fatto lei, così minuta, a sollevarlo? Era di sicuro troppo pesante. 
Mentre cadeva a terra, pensò che il giorno dopo avrebbe avuto un gran mal di testa, come dopo una
sbronza, ma senza neanche la soddisfazione di aver bevuto la sera prima. 
Bella fregatura.
Bestemmiò e svenne.

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