Maggio 1998


«Ragazzi forza, salite che si parte, e mi raccomando due alla volta. Ho detto dueeeeeeeeeee!!!» così si mise ad urlare Alosi, il nostro professore di matematica.
«Dio Cristo, pianoooooooo!!!! Ma che cazzuola di casino è questoooooo??? » continuando a sbraitare.
Salimmo come tante capre e con l'immancabile marasma ci sistemammo nell'autobus, in quanto non vedevamo l'ora di partire.
Destinazione? Firenze!
Era l'ultimo anno di liceo, la scuola si era finalmente degnata ad organizzare una settimana in gita, e per giunta in un posto più lontano nonchè più interessante, a differenza degli anni precedenti in cui oltre le zone limitrofe di Messina non andammo.
E poi Firenze è una delle città più belle d'Italia, come non essere cosi eccitati?
In verità, non lo eravamo proprio tutti, i nostri insegnanti, giá in partenza si mostrarono visibilmente stressati perchè risultavamo la classe più scalmanata della scuola.
Escludendo l'autista eravamo in trenta, ovvero venti maschi, sette femmine e tre dei nostri professori, ossia:
Il già citato professore di matematica Alosi, Scolaro la professoressa di francese, e Marchese la professoressa di italiano.
Il volto di quest'ultima si fece pian piano più rassicurante accompagnato da un lieve sorriso.
«Collega meno male che vieni anche te, ringrazio Dio per questo, solo tu puoi tenere a bada queste pesti!» espose poggiando una mano nell'avambraccio del docente di matematica.
Il professore dato che era in testa all'autobus, per essere sicuro di essere sentito da tutti, con un tono di voce alto e autoritario le rispose puntando lo sguardo su tutti noi. 
«I ragazzi devono stare non solo con due piedi in una scarpa, ma anche con due mani in un guanto, e il primo che darà problemi, parola mia gli cambierò i connotati» sentenziò con fare severo.
Queste parole non ci impressionarono più di tanto, alla fin fine era la nostra gita e volevamo sentirci più sciolti possibili. L'autobus partì, e ci ritrovammo in un battibaleno in autostrada.
Attaccammo subito con le canzoni, di cui una la cantammo in maniera davvero gasata:
“Firenze Santa Maria Novella“ di Pupo, prima cantata in versione classic e poi in versione parodia “Firenze Santa Maria Monella“ con numerosi doppi sensi, per poi passare ad alcune barzellette.
I professori ci lasciarono fare, e immaginai Alosi pensare tra sé e sé:
«Finche si limitano a questo...»
Con il traghetto, una volta attraversati lo Stretto per giungere a Villa, dalle canzoni e dalle barzellette, ci concentrammo su un'unica argomentazione ovvero IL CALCIO. 
Eravamo tutti sostenitori accaniti di questo sport e anche le ragazze non erano da meno.
Tra di noi c'erano delle tremende rivalità calcistiche e principalmente si tifava su tre squadre: Milan, Inter e Juventus. Nessuno tifava Messina.
Le professoresse si dimostraromo disinteressate ai nostri discorsi, cimentandosi unicamente a leggere riviste di vario genere, il professore Alosi invece dopo aver svogliato pigramente alcune pagine della Gazzetta del Sud, tentò in qualche modo di prendere sonno, ma appena giunsero alle sue orecchie i nostri discorsi, aprì di botto gli occhi per poi sbuffare a più non posso.
Aveva un odio feroce per il gioco dei piedi (cosi lo aveva coniato) e bastava sentire non solo la parola 'calcio', ma anche 'pallone' 'rete' 'stadio' 'goal' etc, che gli veniva l'orticaria. 
Non importava se in classe o altrove, si irritava subito, per poi partire con delle pesanti e inutili manfrine, del tipo:
«È il gioco più stupido del mondo, ma perché non dedicate il vostro tempo a cose più utili e istruttive?» oppure facendo un'altro esempio «Se il livello culturale in Italia è basso, la colpa è proprio di questa merda che vi sta letteralmente plagiando, sono convintissimo che in Africa la gente risulta molto più intellettuale di voi!»
Pensavamo che questa sua avversione per il calcio si limitasse solamente ad una questione di ideologia, invece scoprimmo tramite la professoressa Marchese (che si lasciò scappare una confidenza con noi un mese prima della gita), la reale motivazione, una questione molto più radicata e personale.
Samuele Alosi, figlio unico del professore, abbandonò presto gli studi per dedicarsi anima e corpo al calcio, provocando cosi una profonda delusione non solo a lui, ma anche alla moglie che desideravano con tutto il cuore che un giorno se lo ritrovassero studiato ed avviato a livello professionale.
Inizialmente le cose gli andarono bene riuscendo anche ad avere un certo successo, arrivando perfino a giocare in serie B, ma la fortuna lo abbandonò sul più bello poiché a 24 anni, dovette ritirarsi dopo un grave infortunio.
Il ragazzo senza studi e senza aver mai lavorato un solo giorno in vita sua, si ritrovò disoccupato alla soglia di 30 anni, praticamente senza arte e nè parte.
Questo spiegò il perché l'insegnante di matematica avesse un odio immane per il calcio e per i calciofili prodigandosi come in una sorta di crociata personale.
La cosa ci dispiacque un po', ma non ci portò di certo a diventare più comprensivi nei suoi confronti.


La strada da fare era abbastanza lunga e per il professore la cosa si rilevò un autentica tortura, specie negli ultimi chilometri che ci separavano da Firenze.
All'inizio parlavamo tra di noi sommessamente poi pian piano iniziarono gli schiamazzi ed ognuno professava la propria fede calcistica con l'utilizzo di parole non proprio piacevoli.
Nella caciara creatasi, primeggiava su tutti un certo Andrea Righetti, un ragazzo di media altezza, pallido come la cera delle candele e con una chioma di lunghi capelli neri.
Questi suoi 'colori' lo contraddistinguevano poiché manco a farlo apposta tifava per la Juventus, e per entrambi i motivi veniva soprannominato Zebra.
Il professore Alosi non nutriva in lui neanche la minima stima, non tanto per una questione calcistica, ma per il suo modo di portare solo caos in ogni occasione, e quel giorno infatti fu praticamente lui ad accendere la miccia.

 

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