Il rintocco delle campane sveglia Giovanni che si appoggia al bastone per non cadere. È la seconda volta che viene disturbato dal sonno. La moglie lo rimprovera sempre di non mettersi a dormire sulla sedia, ma di andare sul letto. Testardo e fedele al suo amico a quattro zampe, si sistema dopo pranzo sotto l’ulivo. La faccia è secca dai raggi del sole, che la pianta con poco fogliame non riesce a proteggere dall’esposizione. Il calore lo sopporta bene, lavorando per anni il piccolo orto subito sotto l’oliveto piantato dal bisnonno Ernesto. I piedi sono coperti dalla figura di Poldo, il cane maremmano che vive con loro. Un tempo faceva la guardia al gregge, ma ora, sia lui che il suo padrone, sono troppo anziani per allevare degli animali. Non può essere d’aiuto neanche Cecilia; le sue mani hanno l’artrite e non riesce a mungere e fare il formaggio. Venduto tutto al nipote dei Gavinu, nel 2007, si godono il riposo estivo. A fine settembre torneranno a Roma, vicino ai figli. Per il momento l’aria salutare di Poggio Cancelli li ristora e li fa tornare indietro di dieci anni prima, quando ancora erano attivi nei campi.

Si alza dalla sedia lentamente per non far male a Poldo e per non cadere. Le scarpe sono consumate e vuole finire di romperle prima di buttarle. Alla moglie dice rassicurandola che ne comprerà un paio quando saranno in città. Lei scuote la testa sicura che non lo farà prima che tutta la suola sia consumata. Per quel poco che lui si muove, lei non insiste oltre.

– Hai sentito le campane? Hanno suonato a “morto”.
– L’ho sentite. Mica sono sorda. Chi è morto? 
– Non lo so. Non vorrei che…
– Sante? 
– Ma no, è tornato a Roma da due giorni, me l’ha detto il postino. 
– Hanno fatto bene, sta male e se deve morire, meglio che lo faccia a casa sua.
– Casa sua sta qua. 
– Dai figli, Giovanni. Che noioso che sei. 
– Siamo nati qui ed io qui voglio morire.
– Va bene, ma per ora sei vivo. Chi è morto, allora?
– Tu sai tutto, con quella lingua. Com’è? Non hai parlato oggi con la tua amica?
– Parlo con Rosalba quanto voglio. 
– State sempre a chiacchierare… possibile che non sapete chi stava male? 
– Non so niente. Mi faccio i fatti miei.
– E allora perché al paese vi chiamano “lingue lunghe”?
– Fatti gli affari tuoi. 
– Io sì. Voi…
– Sei venuto tu a chiedere chi è morto. 
– Perché tu sai tutto.
– Prima ancora che muore?
– Eh, soprattutto prima che uno muore. 
– Come se non ho niente da fare.
– Ti dai da fare pure troppo, con la lingua. 
– Che cafone!
– A chiacchierare, per altro nemmeno mi ricordo più. 
– Sei un porco!
– Sei una pettegola!
– Nessuno è perfetto.
– Mi dai un bicchiere di vino?
– Ti fa male, poi muori.
– Almeno dopo hai tutto il tempo per parlare con Rosalba. 
– Porco, antipatico, cinico e…
– E rompiscatole. 
– Ecco. Non ti sopporto più. Sempre a fare battute.
– Sono di spirito. Me lo passi il vino?
– Eccolo. Bevi, poi non voglio sapere niente se…
– Ma chi mi ammazza? Se non ci sei riuscita tu in quasi cinquant’anni.
– Non si sa mai. 
– Dopo ti mettono in prigione. 
– Mi riposo. 
– Dopo non puoi spettegolare con Rosalba.
– Ma perché ti sta antipatica?
– Sbagli. Mi sta simpatica. Almeno per un’ora sto tranquillo che non mi chiami. 
– Ma chi ti chiama.
– Perché non chiami Rosalba? Lei lo sa di sicuro chi è morto.
– Sei tremendo!
– Chiamala.
– Va bene, aspettami qui.
– E chi si muove?

Giovanni sa che sua moglie è una donna sensibile. Anche se non sembra, Cecilia è un tipo riservato, l’unica con cui si lascia andare è Rosalba, l’amica d’infanzia a Poggio Cancelli. Il suo cinismo aiuta la moglie a star allegra, dopo tanti dolori che la vita non le ha risparmiato, come stavolta. Giovanni lo sa che è morta Rosalba, Poldo lo ha svegliato ore prima quando ha visto le macchine davanti casa di Rosalba. Sua moglie riposava nel letto e non ha visto il movimento a casa dell’amica. Giovanni è cinico per poi tornare tenero quando la moglie tornerà in lacrime e non avrà più voglia di parlare. Solo allora l’abbraccerà e le racconterà di quanto anche lui volesse bene a Rosalba.

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