Un pentolone bolle sopra una fiamma lenta. Fumante cisterna, sembra una bocca d'acciaio in attesa di fagocitare il suo nutrimento. Vapore d'acqua che sale verso una cappa, che aspira tutta questa umida nube nella cucina. Tutta ad un tratto Sariddu solleva il coperchio già un po' scostato per far uscire l'acqua vaporosa ed uno, due, tre... cala un maiolino, appena arrivato dalla barca e tutto cangiante di colore, al fine di sfuggire alla prova gastronomica. E così tanti altri vengono inabissati nell'acqua bollente. Un polpo di tre chili scende pure nelle tenebre del pentolone e... appena pochi minuti di cottura mentre il cuoco prepara i limoni per insaporire tale prelibatezza,  finiti nel piatto tutto colorato di un folklore unico siciliano, i polpi vengono tagliati a pezzetti e, granfia per granfia, diventano bocconcini prelibatissimi, una delizia del nostro mare mediterraneo, un sapore indescrivibile.

Per la strada e nelle zone marinare (Mondello, Sferracavallo e Romagnolo) un tempo era facile incontrare in modo particolare i “purpari” cioè i venditori di polpo bollito.
Il loro bancone, sempre lindo, quasi in maniera maniacale, portava con sé una spugna che serviva a pulirlo ogni secondo ed era apparecchiato con grandi piatti di ceramica, tutti colorati e dai disegni policromi di carretti i siciliani, di frutta locale, di immagini marinare e dalla  pentola piena d’acqua di mare resa incontaminata (una volta era di creta e molto panciuta) dalla quale usciva il polpo (majulino) bollito. I suoi tentacoli tagliati a pezzetti venivano serviti sul piatto di ceramica con succo di limone.
Poi qualcuno chiedeva un po' "testa”, tagliata a metà e privata da una ghiandola che l'avrebbe resa  amara per il suo contenuto, "la ventra", veniva ingurgitata con soddisfazione e golosità. I venditori di frutti di mare nei loro deschetti offrivano pure ricci, ostriche, cozze (mitili) e “muccuni”, da consumare a crudo con l’aggiunta a piacere di succo di limone, secondo consuetudini popolari. Si potevano  mangiare anche scottati cozze e muccuni che portati bolliti si potevano  gustare con limone e a volte con una spolverata di pepe.
Oggi le baracchette di Sferracavallo non ci sono più sul lungomare. Sono diventati negozietti, ristorantini, affollati di gente specialmente durante la Festa popolare e devozionale di San Cosma e Damiano a settembre. Poi tutto è ricordo di Sariddu che "calava u purpu" e della gente seduta sopra panche di legno a mangiare tali delizie del mare.

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