Detto brianzolo: "me sunt tacaa a una brôca sgalada", mi sono aggrappato a un ramo spezzato, più o meno. E forse non è solo brianzolo. Io lo conosco dal mio dialetto, presumo sia della mia zona di provenienza...

Melo e pero sono alberi abbastanza deboli, i loro rami sono "molli". Non quanto il fico ma quanto basta per essere inaffidabili in caso di arrampicata o di sostegno.

Poi esiste un altro detto: "un giorno sei sul melo e un giorno sei sul pero" che sta a significare la tua, di inaffidabilità. Sei umorale, instabile, cambi spesso idea. Non si tratta di capricci ma di vera e propria... uhm... devo coniare una parola, qui... camaleonticità! No, non basta. Il camaleonte cambia colore alla pelle e si mimetizza, non basta. Star sul melo o sul pero comporta la convinzione di essere una mela o una pera. Ecco, posso essere mela o pera, esserlo fino ai semini dentro al torsolo e lo sono così bene che vista da fuori mi si potrebbe davvero chiamare mela o pera a seconda del momento. Non tralasciamo tutto il resto: sasso, liscio o appuntito, granito o basalto... conchiglia di mari caldi o di mari freddi, cipolla o peperone... ginocchio o timpano, cuore o cervello... felice o, beh, tutto il resto. Perfino un sasso liscio giallo peperone che odori di cipolla stando appeso a un ramo di fico con sembianze di pera e dal sapor di mela; felice. Cosa può mai tenere insieme e integro un essere simile? Lingua e pensiero. Senza le parole e le parole pensate e dette e scritte, nulla di quanto sopra sarebbe possibile, tutto finirebbe, separatamente, nel cassonetto della spazzatura indifferenziata; separatamente tutto insieme, da buttare via.

Ho scoperto di conoscere la lingua inglese meglio di tanti inglesi o americani. Non sono abituata a parlarla, lo faccio tra me e me o coi pochi clienti che lo parlano, in hotel. Per caso sono capitata su una serie di canali YouTube che danno lezioni di inglese. Scritto o parlato che sia, posso dare punti a un nativo in fatto di grammatica, spelling, interpretazione dei modi di dire... perfino di brani di poesia. Le invenzioni linguistiche di Shakespeare che sono diventate modi di dire conosciutissimi e tradotti ovunque (heart of gold, cuore d'oro, per fare un esempio semplice e famoso) mi sono state chiare da subito, non appena le ho viste alla lavagna dell'adorabile signora inglese che si apprestava a spiegarle... ai suoi connazionali. L'uso dei tempi, delle preposizioni, dei "phrasal verbs", del suono e della cadenza che cambiano quando una parola da sostantivo diventa verbo... cose mai studiate, le ho assimilate tramite il rock e le serie tv in lingua, già le conoscevo e utilizzavo e ora ne conosco anche il nome.

A volte riesco perfino a sentirmi come il pennarello che l'anziana insegnante inglese utilizza sulla sua lavagna bianca. Per inciso, alcuni modi di dire, "rompere il ghiaccio" o "cuore d'oro" per citarne un paio, magari non sono una invenzione di Guglielmo Scuotilancia ma è stato il primo a metterle per iscritto e per questo sono attribuiti al suo estro.

Secondo lo stesso principio, se nessun altro avesse messo per iscritto "camaleonticità" e "nientesimo" mi ritengo autorizzata a coniarli; in qualità di autore, appunto; anche pubblicato su carta. Potete ridere anche qui (ma non troppo, eh). 

E qui "la roba le se fa spésa", la cosa si fa grossa, grande: oltre alla lingua italiana e al dialetto brianzolo della mia zona, si aggiunge l'inglese e mi sento anche un po' british, a volte american; se parlo francese coi clienti francofoni, ecco che divento una formaggiaia (hahaha) che ne sa di paté de canard e di kyr e di champagne, di Côte d'Argent e di Brétagne, di Carcassonne e di Cahors... come tenere assieme tutto questo? Con la fantascienza e la piana del Serengeti nelle giornate di pioggia? E mentre guarnisco una piada a strisce di pomodoro e mozzarella e penso a quel quadro di Rotko in bella vista nel salotto grande in "Gruppo di famiglia in un interno" di Luchino Visconti? Quando accarezzo il cane e rispondo "miao" al gatto? Quando, mah, amo?... La lingua, le parole, lo scrivere, il vedere tutto nero su bianco per fare chiarezza, il prendere le distanze o andare fino in fondo rimanendo, uh, me stessa, diventano cose necessarie.

La ur-domanda: chi o cosa sono? 

Tra pochi minuti uscirò col mio cane e diverrò la "padrona di Miro" per tutti gli amici dello sgambatoio cani; quella che sa dove lui farà la cacca e che raccoglie more per lo sciroppo e la cheesecake e parla di viaggi e di pesce di lago e, boh, di tutto; intendendo sempre altro. Tanto, loro non sanno... non sanno che niente basta mai, mai sono in pace, mai so chi io sia davvero né quel che provo per qualcuno. L'impulsività fa a botte coi princîpi, la pancia col cervello, il cuore si prende per il culo da sé. Ma quando sono "qui" e sto scrivendo, so che io sono io, "io" me esiste. Forse solo qui. Perché qui posso essere tutto, anche un sasso di basalto, scheggiato e appuntito a forma di spicchio di mela, profumato di pera e appeso a un ramo di fico... appendersi a un ramo spezzato, capirete da voi, significa cadere.

Appendersi a un ramo di melo poi saltare su un pero repentinamente, magari con cadenza mensile, settimanale o quotidiana, aumenta le probabilità di trovare un ramo spezzato o troppo sottile per sostenere il frutto estraneo che ha sembianze e polpa e succo di pera o di mela a caso. Si cade, inevitabilmente.

Ma "qui", tutto è possibile, "qui" è dove si scrive, qui i muli diventano unicorni e un fagiolo diviene una pianta alta chilometri e chilometri e sostiene un mondo di favola, qui i nani divengono giganti, le lucertole guadagnano ali e un cuore di fuoco e poi si tramutano in draghi; qui, dove scrivo, nello scrivere, potrò dire tutto e il contrario di tutto ed essere me. Me, intera, integra, inattaccabile, inespugnabile, invulnerabile, qui, badate bene, si trascende da tutto e si diventa ogni cosa, qui sono la luce e l'ombra di me senza dover dare giustificazioni per la mia presenza o per le mie mancanze, qui, io, di mancanze non ne ho. 

Ora, esco. Come mi sento... ah, sì, mi sento intera.

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