Il signor P. aveva vissuto tutta la sua vita cercando  di capire cosa potesse esserci dietro il buio e dentro la luce. Perché, a prima vista, le due condizioni potrebbe essere simili anche se all'apparenza sembrano totalmente opposte: una, immersa nel mistero e nell'improvvisazione, l'altra, così accecante alla nostra vista tanto da non far vedere nulla.

Quando l'umanità é scesa nel buio o il buio ha accompagnato le scelte degli uomini nella storia, il paesaggio terrestre é stato teatro di violenze, soprusi, prepotenze, sopraffazioni, genocidi e i valori della vita, sacri e inviolabili, sono stati mortificati e depotenziati, ridotti a condizioni svilite, prerogative dei deboli e degli indifesi, mentre quando la luce del sole ha riscaldato i cuori i raggi hanno portato a creare le condizioni atte alla vita, alla nascita, al germoglio, alla fertilità. La luce intensa ha convinto Icaro ad avvicinarsi con le sue ali di cera sempre più vicino e a precipitare, dopo aver gustato per un attimo la possibilità di vivere la libertà.

Il signor P. ora é vecchio e i suoi occhi sono stanchi di vedere il mondo dopo aver vissuto nel profondo le conseguenze dell'odio durante la guerra, la deportazione, la sopravvivenza. Il mondo, che ancora vive come ultima speranza dopo tanta degradazione, tortura, ruberia della vita, ora per lui è luminoso e puro in quella che chiamano democrazia. E lui lo vive immerso in una luce sempre più accecante che gli rivela sempre più la sua debolezza naturale, il suo vano scorrere nel tempo e nella storia man mano che le generazioni si avvicendano e si distanziano da quello che è stato, quel mondo che si lascia coprire dal buio del fanatismo e precipita negli stessi errori del passato.
Moahmed è uno che ha detto "no al buio della guerra" nella sua terra ed é fuggito per quanto fosse possibile. Ha seguito quella luce che fu stella cometa sulla grotta di Betlemme o stella di Davide impressa sul petto e sulla pelle con quella sequenza di numeri che indicano la fine della sua identità marchiatagli ad Auschtwitz o a Bergen Belsen o a Dachau. Ha seguito la luce e in mezzo agli inganni e alle privazioni di un viaggio dal deserto all'acqua del mare, ha sopportato la fame e la paura, la schiavitù e l'odio, la sete e la notte fredda e senza affetti, perché credeva di riuscire a vedere una luce che è nel giorno che sorge, ma sapeva essere principalmente dentro ognuno di noi. Una luce interiore, che ci porta a scegliere il bene per noi e per gli altri, quando non ci si ferma al solo egoismo perché quella luce si chiama carità. E "Deus Caritas est" a qualsiasi religione si fa riferimento.

É sempre più gratificante riuscire a seguire la luce nel sole perché se si prosegue con il giusto accorgimento senza cercare di confrontarsi con la sua luminosità, si può giungere a realizzare i propri desideri e a riscoprirsi carico di emozioni, anche se le esperienze negative lungo il corso del nostro cammino portano a ritrovarsi dentro al petto un cuore di pietra sempre più resistente e brutale.

Il dolore può far sorgere due reazioni: o pietrificarsi o lasciarsi annichilire. Il signor P. questo lo sapeva bene perché durante la guerra e la deportazione alla vista di tanti corpi dentro i magazzini in attesa di essere eliminati dentro i forni crematori con la colonna del camino asfissiata di nero e bruciante fumo umano, alla vista  di tanti occhiali e scarpe e capelli frutto della degradante aberrazione del tempo che fu, aveva sentito dentro sè un dolore così grande che il suo cuore era diventato così duro come la pietra che la sua statua era rimasta ancora oggi a testimonianza di quello che il tempo è il negazionismo possono far dimenticare come un fuoco fatuo, che se non alimentato é destinato a spegnersi. E si era ancora  sdegnato quando a distanza di tanti anni aveva conosciuto la storia di Moahmed, l'africano e dei proclami politici di un comune convincimento, che l'uomo non ha un'unica razza,  che tanti uomini non hanno diritto di vivere e di essere accolti in altra terra perché puzzano, sono criminali, sono ladri, come settant'anni prima lo erano stati gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, gli handicappati, i diversi dalla razza artificiale, la razza ariana.

Moahmed era giunto dalla sua Africa perché la dittatura, la violenza delle squadracce al soldo del generale dittatore esigevano la sottomissione alle loro violenze, ai loro desideri di potenza sugli altri e pretendevano le donne altrui, violentavano e sodomizzavano, in nome del loro egoismo. Ecco che la speranza di una luce aveva illuminato la sua mente. Si può dire di no a tanta vergogna, si può dire basta, non ne possiamo più. E il desiderio di poter finalmente sognare, di poter pensare e potersi realizzare con la propria dignità di uomo è in altra parte della terra, in questo "opaco frammento del male". E allora si emigra, si sfugge perché é talmente così organizzata la violenza che non la si può fermare da soli. Si va via a costo di soffrire per strada, di avere le piaghe nei piedi e le cicatrici nel corpo e non ancora nell' anima che grida e spera.

Mohamed era arrivato sulle rive del Mar Mditerraneo, dopo una lunga ed estenuante traversata del deserto dove le onde sono di sabbia e si rischia di perdere l'orientamento quando scoppia una tempesta di vento. Eppure era arrivato con i piedi sanguinolenti per le vesciche, con le crepe sulla faccia per il sole ardente da dove i pozzi sono solo nelle oasi e per lo più un miraggio a distanza di chilometri e chilometri l'uno dall'altro, quando non sono in secca.

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