Rientrai a casa quel pomeriggio più presto del solito.

Il mio lavoro di ricercatrice nel campo della bioedilizia mi permetteva di avere ampi spazi di libertà.

Erano i miei studi mirati alla ricerca di materiali compatibili con l’ambiente, nell’ambito delle costruzioni.

Questa materia era stata anche oggetto della mia tesi in Architettura.

Glasgow era fantastica da quel punto di vista e dava grandi opportunità a chi le sapeva cogliere.

Nata qui trentadue anni fa da genitori italiani, sono figlia unica.

I miei sono stati strappati alla vita da un incidente d’auto alcuni anni fa. Ero molto legata a loro. 

Ma questa cosa mi ha rafforzato.

Forse perché hanno sempre mantenuto saldamente viva la loro identità di emigrati e della stretta unione della famiglia.

Gli unici parenti rimasti in Italia oggi sono un cugino, Tommaso, e una sorella della nonna Marilena.

Ho un compagno, James, anche lui ricercatore come me.

Si parla spesso di matrimonio, ma non si è mai arrivati a una conclusione.

In fondo penso che nessuno dei due lo voglia veramente.

Siamo felici lo stesso.

Abbiamo anche un mezzo zoo a casa. Un cane, un gatto, due fantastiche cocorite e una coppia di tartarughe. La femmina ha appena partorito due piccoli. Sono mamma.

Oggi poi mi sento anche particolarmente contenta.

L’amore con James va così bene che quando cammino mi sembra di essere sollevata un palmo da terra.

Il quartiere in cui vivo è un misto di razze e la maggior parte giovani. Mi piace davvero tanto.

Ecco, quel giorno dicevo tornavo a casa.

Aprii come di consueto la cassetta della posta.

E tra le solite pubblicità e avvisi vari, una lettera in particolare attrasse la mia attenzione.

Indirizzata a Miss Sofia Della Robbia.

Di color giallo paglierino, molto piacevole al tatto e con impresso un giglio nella parte in alto a destra.

Entrata in casa, presi di corsa il tagliacarte per aprirla.

Strapparla sarebbe stato un delitto.

Divorai la lettera in un fiato.

Quando ebbi finito mi dovetti sedere in fretta.

Le gambe mi tremavano e le abbandonai lunghe e distese sul pavimento, mentre la schiena sprofondava sullo schienale del divano.

Quella lettera arrivava dall’Italia ed esattamente dalla provincia di Arezzo. La città da cui provenivano i miei genitori.

Un tale Notaio, Dott. Tiraboschi, mi comunicava senza neanche tanti preamboli che avevo ereditato un casolare.

Dalla nonna Marilena.

La lettera diceva così:

-Suddetto casolare posto nella frazione Ortiche e composto anche da innumerevoli ma non precisati mq di terreno, con annesso usufrutto del torrente Lapidone, entrano a far parte della eredità di miss. Sofia Della Robbia- Voglia pertanto essere presente all’apertura di suddetto lascito il giorno 5 Marzo 2003, presso lo studio di codesto Notaio nella città di Arezzo-

Era fra una settimana.

Non avevo più parole. E quelle che cercavo di professare mi si stringevano alla gola, facendomi emettere un suono stridulo come un’aquila in picchiata verso la preda.

Ci volle un bel po’ di tempo per riprendermi.

Dovevo subito parlarne a James.

Lo chiamai subito al telefono e mezz’ora dopo era da me.

Raccontai come un fiume in piena il contenuto della lettera.

Decidemmo di comune accordo che sarei partita, ma senza di lui. Precedenti impegni glielo impedivano.

Arrivai in Italia il 4 Marzo e raggiunsi Arezzo nel primo pomeriggio.

Durante il volo avevo avuto anche modo di riflettere su questa cosa che mi stava capitando. In fondo mi dissi, non ero mai stata in Italia. Poteva essere una buona occasione per visitarla.

Avevo preso dieci giorni di ferie. Pensai che sarebbero bastati.

Non potevo immaginare che non sarebbe stata così.

Sbrigate le pratiche ancora in giornata, mi vennero consegnate le chiavi e date le indicazioni per raggiungere il posto.

Volevo partire subito verso la destinazione e così feci.

Affittai una macchina, una Fiat 126. Macchina che aveva visto molte lune ma che fece il suo dovere. Arrivai dopo un’ora.

Il posto era davvero bello, pieno di colline, ma praticamente desolato. Non si vedeva anima viva in giro, solo qualche luce fioca in distanza di altri cascinali. E inoltre stava venendo buio.

Il vialetto sterrato che mi avrebbe portato al casolare era davanti a me. Solo un cancello arrugginito e cigolante mi separava da lui.

Inforcatolo, gli arrivai davanti facendo non poca fatica, un po’ perché il sole era sparito dietro la linea dell’orizzonte,  ma anche perché la sterpaglia aveva ormai invaso il vialetto.

Posai le valigie e con sguardo smarrito guardai davanti a me.

Il casolare penso che anche lui guardasse me, unica visitatrice chissà da quanti anni.

Era un rudere a prima vista!

Non sapevo cosa pensare per prima. Se pensare di sistemarmi per la notte oppure scappare a gambe filate da quel luogo.

Esattamente cosa mi trattenne non lo capii subito, ma solo qualche giorno dopo.

Trovare un albergo a quell’ora e in quel luogo era arduo, oltre al fatto che ero anche molto stanca.

Mi sistemai nella macchina in qualche maniera e cercai di dormire.

Forse la notte mi avrebbe portato consiglio.

Di sicuro mi portò un bel mal di schiena.

La mattina con il vecchio mazzo di chiavi datomi dal notaio, aprii la porta a due ante ed entrai piano.

Dovetti spalancare tutte le finestre e persiane della casa per avere un po’ di luce e il sole fece cambiare la prospettiva del tutto.

Il casolare era ormai abbandonato da anni e davvero bisognoso di cure, ma non mi persi d’animo.

Iniziai prima di tutto la mia perlustrazione.

Era pur sempre la casa di campagna, dove anche i miei genitori avevano soggiornato e dove si erano rifugiati durante il periodo della guerra, quando Arezzo veniva bombardata.

La prima stanza che incontrai era quella probabilmente usata come soggiorno, ma era completamente vuota. Alle mura un parato di color sabbia strappato.

Sulla sinistra la cucina con maioliche bianche e il camino con appeso un paiolo di rame, dove forse zuppe venivano cotte a lungo nella vera tradizione contadina aretina.

Un’altra stanza sulla destra sembrava fungesse da studiolo. Lo penso per due motivi, il primo perché la nonna Marilena era una maestra di quelle con la M maiuscola, così raccontavano i miei.

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