L’omosessuale Giuseppe De Santis, fatte le debite deduzioni e conclusioni, risultava una persona fine e dai sentimenti nobili. Figlio unico, cresciuto nella bambagia e quindi straviziato, del celebre medico Aniello De Santis, defunto da nove anni, il rampollo Giuseppe aveva riscoperto in sé la vocazione alla omosessualità oltrepassando la soglia dei trentacinque anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza un tantino ambigue e una gioventù ed una prima maturità sostanzialmente nutrita di donne. Gli avevano attribuito il nomignolo " ' A sciurara " (la fioraia) che qualificava il suo amore sviscerato per i fiori, soprattutto per quelli dai colori più delicati. Questo cinquantaquantanovenne, vivente da solo alla fine degli anni sessanta in un bel villino di Sala Abbagnano, una zona residenziale di Salerno, appartamento stracolmato di fiori, profumi, mobili ed oggetti ricercati, conduceva un’esistenza riservata ed in un certo senso perfino morigerata, nella soddisfazione delle sue voglie e dei suoi desideri. Il tutto improntato alla massima discrezione e condito con una notevole dose di signorilità. 

     Come se non bastasse, il De Santis aiutava di tanto in tanto dei poveri bisognosi con oboli ed offerte di una certa consistenza. Sua madre, la napoletana del rione Vomero Elena De Conciliis, nobildonna di alto lignaggio, dicevano, era stata sul punto di morire di crepacuore a causa della “terza via” intrapresa dal signorino Giuseppe, professore alla facoltà di Magistero a Napoli. Fatto sta che il di lei marito, don Aniello, il luminare della scienza medica, era passato a miglior vita, seguito a poca distanza di tempo dalla sorella Amalia De Santis, dama di San Vincenzo, e dal cognato Umberto De Conciliis, noto penalista del foro napoletano, mentre donna Elena era rimasta viva e vegeta. La dama, che aveva avuto illustri natali in via Luca Giordano al Vomero, si era trasferita a Salerno all’età di ventuno anni, per amore e volontà del consorte e malgrado le forti resistenze dei genitori. A ottantatrè anni godeva ancora di una salute invidiabile. Stava sola di giorno e con l’assistenza di una donna, che cenava e dormiva con lei, in un altro villino vicino a quello del figlio. Così “La fioraia” era libero di coltivare le sue frequentazioni.

(C.G.)

 

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