Pioveva quel giorno, ma cosa potevo farci? L’uscita era programmata da giorni e rinviare e pazientare ancora per vederla, io non ci riuscivo. Dieci minuti prima dell’orario concordato mi eri piazzato sotto l’albero prestabilito per l’incontro. Pioveva già dal mattino, e presi il mio ombrello fortunato. Me lo aveva regalato mio nonno, mi disse che era quello con cui aveva conosciuto la nonna: in un giorno di pioggia stava passeggiando e alzando lo sguardo da terra mentre camminava, la vide. È una storia romantica la loro, anche se non so quanto sia vera. Lui mi raccontò che la nonna era lì senza ombrello e lui le si è semplicemente avvicinato offrendole riparo. Non credo succederà anche a me: oggi lei avrà l’ombrello, sicuramente, in più proprio questi ombrelli ci distanzieranno. Dovrò offrirle di stare insieme con me al riparo, o è troppo? Oppure se l’aspetta? Comunque, l’ombrello che ora stringevo, uno di quelli che con il manico che sembrano un bastone da passeggio, speravo mi portasse fortuna, la stessa che aveva avuto mio nonno che ora non c’era più. Lui diceva: “ Alza la testa quando piove, che lei sta proprio lì di fronte a te”. È difficile, però, alzare la testa con la pioggia: ci sono le pozzanghere, per questo si guarda per terra. 

Arrivò una folata di vento, troppo violenta. L’ombrello si aprì, sentii dei rumori metallici, sottili, e vidi alcuni pezzi cadere a terra. La pioggia mi bagnava i capelli: non potevano bagnarsi, si sarebbero spettinati, e mentre raccoglievo i pezzi e cercavo di capire cosa fare, ripensai a mio nonno; era il suo ombrello e l’avevo rotto, non potevo buttarlo. Mi spostai sotto un portico lì vicino: anche se era in ritardo di venti minuti, non mi scoraggiavo.

Me ne tornai a casa sotto la pioggia alla fine, con il corpo fradicio, stringendo i pezzi dell’ombrello rotto tra le mani. Ero triste non tanto per l’appuntamento, di ragazze, ne avrei trovate altre; ero triste perché nessuna avrebbe avuto con me la stessa storia vissuta da mio nonno. 

A casa mia, dopo una doccia, mi distesi sul divano, un po’ annoiato. L’appuntamento era già caduto in secondo piano, non mi interessava più. Inaspettatamente trovai mia nonna, mi sorrideva.

“Non è andata bene oggi?”.

“No, non importa”.

“Perchè?”. Chissà se una risposta esisteva. Comunque non aveva importanza sul serio, nulla era cambiato. Poi mi accorsi che mia nonna non doveva essere lì, ma nella casa affianco. Aprì gli occhi e quella piccola fantasia svanì, per poi diventare desiderio di vedere veramente mia nonna. Uscì di casa e entrai nella porta accanto. Mia nonna leggeva, senza fare troppo caso a me.

“ Ho rotto l’ombrello del nonno” le dissi colpevole.

“ Sei stato tu?” chiese.

“ Beh, il vento, ma lo avevo io in mano”.

“ Ah bene” mi interruppe, “ allora non sei stato tu. Mica è colpa tua se il vento soffia. E poi anche se l’avessi rotto, è tuo quell’ombrello”.

“ Ma era il vostro ombrello”. Era qui che volevo arrivare con le parole. Farmi raccontare la loro storia, perché da lei non l’avevo mai sentita, e volevo trovare conforto con la loro storia. “ Vi siete incontrati per caso durante una giornata di pioggia. Tu che correvi e lui che ti vide e ti venne affianco”. Lei mi guardò sorridendo: “ Una bella storia, ma la ricordo diversa. Quello non è stato il nostro primo incontro. Meglio: non è così che è avvenuto. Io ero uscita perché sapevo che lui passava di lì tutti i giorni… L’avevo già visto. Non me l’ero dimenticato, l’ombrello, e speravo piovesse con tutta me stessa”. Ripercorrendo la storia fissava il vuoto: stava vivendo ancora con lui. “ Ma tu non avevi un appuntamento?” continuò lei poco dopo. Non risposi; lei sorrise: “ Non importa” disse, “ ce ne saranno altri. Di appuntamenti ne ho fatti anche io diversi”.

“ Si ma tu hai trovato il nonno, hai avuto una storia” dissi.

“ La vorresti anche tu? Una storia uguale alla mia?”.

“ Certo” risposi convinto. Lei mi guardo sempre con il sorriso su quelle labbra ancora rosse, i suoi occhi attivi che non si lasciavano sfuggire nulla.

“ Non cercare la mia storia. È stato il nonno a romperti l’ombrello; l’ha mandata lui la folata di vento. Lo so che quando piove esci sempre con quell’ombrello, così speri di trovare anche per te la ragazza giusta, ma non funziona così”. Il suo rimprovero mi infastidì un po’, e la salutai velocemente. 

Aveva ragione e lo sapevo, ma non potevo farmi sconfiggere dalla mia stessa vita. Non ritornai direttamente a casa; passeggiai sotto la pioggia che ancora non dava tregua. Alzai la testa al cielo osservando l’orizzonte. Volevo bagnarmi, volevo che nulla potesse fermare le gocce e che queste mi cadessero tutte addosso. Con gli occhi chiusi mi godevo il momento, fermo in mezzo al marciapiede silenzioso. Sentivo le gocce aumentare d’intensità, le sentivo pesanti e sbattevano violentemente contro il terreno e su di me, ma d’improvviso sulla mia testa non ne cadde più nessuna.

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