Sul cellulare avevo trovato traccia delle varie chiamate tra cui quelle di Anna. Quando fui in grado di parlare in maniera comprensibile, decisi di chiamarla.  

— Pronto, Stefano sei tu?

— Si, Anna sono io, mia sorella mi ha detto che hai chiamato. Volevo ringraziarti e rassicurarti sulle mie condizioni.

— Beh, lo sento dalla voce che stai benone. Ma cosa hai combinato con l’auto?

— Complimenti per come sai mentire. L’incidente non l’ho causato io. Tutto sommato mi poteva andare anche peggio, l’auto è completamente distrutta.

 

Parlammo di varie cose, disse che mi aveva chiamato, perché il cineforum che frequenta aveva messo in programmazione Paris, Texas di Wenders e le avrebbe fatto piacere rivederlo insieme a me. La telefonata durò parecchio, fino all’arrivo dell’infermiera e della fisioterapista per la somministrazione della terapia e degli esercizi. 

Seguirono altre telefonate con Anna e mia sorella mi disse che periodicamente aveva chiamato anche lei per avere notizie più attendibili di quelle fornite da me. 

Marina mi telefonò per comunicarmi che non poteva portarmi i bambini a causa dei suoi impegni lavorativi e perché riteneva meglio non turbarli raccontando tutta la verità sull’incidente. Aveva detto loro che mi ero semplicemente fatto male ad un piede e per un po’ di tempo non sarei potuto andare a Firenze. Avevo desiderio di vedere i miei figli, ma ritenni giusta la sua scelta. Quando sarei stato meglio, mi avrebbe fatto telefonare da loro.

Anche Roberto Servelli, il mio socio venne a farmi visita. Ci eravamo laureati nella stessa sessione e collaboravamo da cinque anni nella conduzione dello studio. Ebbi la strana sensazione di trovarmi davanti ad una persona estranea. Dopo i convenevoli sull’incidente e sulla mia salute, mi aggiornò circa la situazione dello studio. Mi riferì che le cose, in quasi due mesi di mia assenza, non stavano andando bene. Diversi buoni clienti ci avevano lasciati e le entrate a stento coprivano le spese. Avemmo un acceso diverbio. Gli ricordai che avevo lasciato uno stato delle cose abbastanza florido e, se stavamo in cattive acque perché era solo, io avrei potuto rendermi utile, perché in clinica potevo anche lavorare, in quanto non facevo riabilitazione tutto il giorno.

La sera l’infermiera, vedendomi molto agitato, mi propose un tranquillante, ma rifiutai. Passai una notte insonne, elaborando un piano per il giorno successivo.

In tarda mattinata feci un giro di chiamate ai nostri clienti più importanti con i quali sapevo di aver stabilito un rapporto più che cordiale. Dalle loro reazioni nel ricevere la mia chiamata e da quanto mi riferirono, mi resi conto che Roberto aveva fatto credere che io non avrei più lavorato e avrebbe seguiti lui i progetti. Giustificai la cosa dicendo loro che c’era stato un equivoco e che forse, il mio socio era stato pessimista sulla mia ripresa, che invece potevano contare assolutamente su di me e chiamarmi direttamente in caso di bisogno. Ci fu il caso del ragioniere Capaldi che non era soddisfatto del progetto che aveva sviluppato Roberto ed io mi offrii di revisionarlo.

Il mio avvocato mi tranquillizzò, dicendo che avrebbe sistemato ogni cosa: munito di una mia delega e accompagnato da un bravo contabile, avrebbe fatto irruzione nello studio per controllare tutto quanto.

Riacquistata una certa serenità, non avendo più evidenti segni dell’incidente, decisi di fare la tanto attesa videochiamata a Marina per parlare con i bambini.

Ognuno voleva parlare prima, la madre dovette intervenire per non farli litigare, disse: "Parla Aurora che è la più grande dei due, perché è nata per prima”. Allora Stefano obiettò che invece toccava a lui che era stato concepito per primo. Trovarono la soluzione tirando a sorte. Vinse Stefano ma trovarono il modo di stare entrambi davanti al cellulare. Dovetti descrivere l’incidente nella versione edulcorata fornita da Marina e loro mi aggiornarono sulle novità scolastiche. 

La clinica non aveva un orario di visita, ma era meglio evitare mattina per permettere ai pazienti di fare le terapie e gli esercizi di riabilitazione. 

Avevo appena finito il pranzo, quando bussarono alla mia stanza. Neanche il tempo di rispondere che si aprì la porta ed entrò mia sorella. "Enrico, c’è una visita per te, mi raccomando non ti emozionare”. Uscì dalla stanza lasciandomi perplesso e prima che potessi parlare entrò Anna. Senza dire niente mi abbracciò tenendomi stretto a lei per un tempo indefinito in cui la sua immagine, insieme alle altre, tornò nella mia mente come un déjà-vu dell’attimo dell’impatto. Non avrei voluto mostrarmi fragile, ma avevo ancora difficoltà a controllare le emozioni e i miei occhi si riempirono di lacrime. Quando ci staccammo, mi accorsi che anche lei aveva gli occhi lucidi. 

Recuperato un minimo di self-control, sorridendo, riuscii a dirle incespicando un po’ sulle parole: "Questi non sono scherzi da fare ad un povero convalescente senza un’adeguata dose di tranquillanti”.

"Temevo che mi impedissi di venire, ne ho parlato con Emilia e abbiamo valutato che ce la potevi fare” mi rispose prendendomi le mani tra le sue e guardandomi con dolcezza.  

Anna ed Emilia erano diventate amiche a mia insaputa e per i dieci giorni che restò a Salerno fu sua ospite, trascorrendo più tempo possibile con me. 

È passato quasi un anno e mezzo dagli eventi fin qui riportati.

Nell’altra stanza i bambini insieme a zia Emilia aprono i regali che ha portato da Salerno. 

Con i soldi dell’assicurazione ho dato un congruo anticipo per questa casa che ho comprato a Firenze, a metà strada tra quella dei bambini e quella di Anna. Con lei abbiamo deciso che, per ora, pur facendo coppia fissa e amandoci, sarebbe stato meglio conservare il proprio domicilio e la propria indipendenza. La casa è abbastanza grande per ospitare i bambini quando vengono a stare da me, mia sorella quando viene a trovarmi e con Anna se un giorno decidessimo di vivere insieme. C’è anche lo spazio per un piccolo studio. Con l’aiuto di Anna e di Giusy ho iniziato ad avere anche qualche cliente fiorentino, oltre a tutti quelli recuperati dal mio studio di Salerno.  Posso concludere dicendo che sono sopravvissuto… e contento.

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