Dalle casse fuoriuscì la voce del front man dei New Trolls che cantava: «Quando tornava mio padre sentivo le voci, dimenticavo i miei giochi e correvo lì. Mi nascondevo nell'ombra del grande giardino e lo sfidavo a cercarci: io sono qui».

Prese un lungo respiro. Guardò fuori.

Buio.

Era l'atmosfera perfetta. Il buio, il vento e le stelle. Cosa desiderare di più?

Tirare l'ultimo rigore della mia vita, pensò Alan mentre afferrava il gomitolo di spago.

Lo srotolò. Ne fece cadere un metro, un metro e mezzo. Lo tagliò con le forbici.

Salì sulla sedia.

Avvolse lo spago intorno al collo. Una volta. Due. Tre.

Iniziò a sudare freddo. Freddissimo. La testa un involucro senza pensieri.

Fece un cappio. Lo legò alla lampada. Lo fissò bene assicurandolo stretto. Si controllò il collo. Teneva. Il cappio era ben legato.

Osservò la sua stanza e la vide girare come un dado. Gli oggetti cambiare forma. La lampada accendersi e spegnersi a intermittenza, da sola, tipo discoteca. I vetri della finestra che sbattevano. Vento gelido che intorpidiva le ossa. Armadi che si aprivano. Porta che cigolava. Vedeva...

Il letto che si alzava come ne L'Esorcista. La sagoma di suo padre che ribadiva: – Non è un tuo problema, Alan. Non è... – digrignava i denti. – Un tuo problema.

Vedeva e vide.

Poi solo bianco.

Alan serrò gli occhi, diede un calcio alla sedia e si lasciò andare.

Cadde, sospeso con i piedi che lambivano le mattonelle e la testa china sul petto.

Sentì sbattere forte un pallone.

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