«Vorrebbe vivere in un mondo migliore?».

Nonostante i tepori primaverili, l’uomo sulla panchina indossava un vestito scuro con tanto di gilet. Portava anche un cappello e, quando alzò lo sguardo verso il ragazzo, l’ombra della tesa gli nascose gli occhi così che, per un attimo, sembrò che il volto ne fosse privo. Ma fu un secondo. Un lieve, quasi impercettibile movimento del capo ed eccoli ammiccare nella luce chiara e un po’ verdastra del giardino, simili a cocci di vetro scuro.

«Assolutamente no, ragazzo, ma le pare il caso?».

L’altro aprì la bocca, ma non disse niente.

«Giovanotto» L’uomo indicò il panorama con un ampio gesto della mano sinistra. Era infilata in guanto nero, mentre la destra rimaneva adagiata su un bastone dall’impugnatura d’argento «Si guardi intorno e mi dica che cosa vede».

«Be’…» disse il ragazzo balbettando un poco «Il giardino, il tribunale…».

«Quasi» lo corresse l’uomo «È l’Ufficio del Giudice di Pace. Il Palazzo di Giustizia è alle nostre spalle e da qui non si vede. Vada avanti».

«Il parcheggio, l’università…» proseguì il ragazzo. Senza che se ne accorgesse, le sue mani avevano preso a tormentare l’opuscolo che teneva in mano.

«Giusto» lo interruppe l’uomo «E, sempre dietro di noi, una sinagoga, una chiesa, un ospedale. Se allunga la testa intravede la guglia del Duomo. Ora mi dica…» l’uomo si girò verso il ragazzo «Mi dica: che fine farebbe, tutto questo, in un mondo migliore?».

«Be’…» belò ancora l’altro «Dottor…» il “dottor” sembrò uscirgli da chissà quale angolo della mente.

«Balefar andrà benissimo. Risponda alla domanda».

«Io… non so…».

«Non ci ha mai pensato, vero? Sicuro che non ci ha mai riflettuto, altrimenti non mi avrebbe rivolto una domanda così sciocca».

«Effettivamente non l’ho mai fatto».

«Ma certo!» l’uomo allargò le braccia a sottolineare l’ovvietà della cosa «Si è chiesto che fine farebbero, per esempio, tutti quelli che lavorano nel palazzo che ha indicato per primo, quello del Giudice di Pace? Niente multe da pagare, niente cause coi vicini, niente incidenti d’auto… decine, centinaia di persone senza un lavoro. E non parlo solo degli avvocati. Giudici, cancellieri, commessi, medici, consulenti, periti di ogni ordine e grado, impiegati del ministero, poliziotti, carabinieri. E in tribunale sarebbe anche peggio. Migliaia di disoccupati per le strade. Sarebbe una catastrofe…».

«Magari non sarebbe così grave».

Balefar gettò un poco indietro la testa, quasi avesse voluto mettersi a ridere e fosse riuscito a trattenersi all’ultimo momento.

«Lei dice? Bene, passiamo ad altro. Lasciamo perdere la giustizia e passiamo alla religione. Che bisogno avrebbero della religione degli uomini migliori? Una parte molto importante del nostro ordine sociale crollerebbe. Una parte della nostra storia, della nostra arte, della nostra cultura… che senso avrebbe costruire templi per qualcosa di cui non c’è bisogno?».

«Però forse…».

«Va bene, facciamo a meno della religione con annessi e connessi, ma che mi dice della medicina? C’è un ospedale dietro di noi, no? In un mondo migliore la gente non si ammalerebbe, non soffrirebbe… magari non morirebbe neanche. Milioni, miliardi di individui senza una seria preoccupazione in testa e la prospettiva dell’eternità davanti. In pochi anni riempiremmo l’universo. E per farne cosa? Dia retta a Balefar, vecchio mio…».

L’uomo si alzò appoggiandosi al bastone e il ragazzo si accorse che era molto più alto di quanto non sembrasse da seduto.

«Il suo mondo migliore è un incubo, mi creda».

«Però…» il ragazzo sembrò dire qualcosa, poi ammutolì. Balefar attese, paziente, quindi gli rivolse un sorriso cortese.

«Ma sì» concluse «Lasciamo perdere i massimi sistemi». Si avvicinò al ragazzo con un passo aggraziato, da ballerino «Che cosa mi dice di lei, eh? Che fine farebbe, lei, in un mondo migliore? Che senso avrebbe la sua vita senza nessuno cui illustrare i suoi opuscoli e proporre le sue verità? Quale scopo? Ha mai considerato il senso metaforico dell’espressione “andare in un mondo migliore?”».

L’uomo iniziò a voltarsi e si toccò la tesa del cappello, per salutare. Nuovamente, i suoi occhi parvero scomparire nell’ombra.

«Mi dia retta, amico. Non lo vuole, lei, un mondo migliore. Non più di quanto lo voglia io».

E si allontanò per il giardino, roteando giulivo il bastone nell’aria tiepida di primavera.

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