Presto si muoveranno.

Vorrei che si sbrigassero, ma non posso essere impaziente.

Dopotutto, io neppure dovrei esistere.

Il semplice fatto di vedermi contraddice tutto ciò in cui hanno creduto finora ed è uno shock dal quale, probabilmente, non si riprenderanno mai più. Perciò aspetto.

So che mi stanno osservando, dall’altra parte della pianura candida come ossa calcinate: un uomo vestito di pelli accanto a un fuoco di sterpi che non dovrebbe neanche bruciare.

Da qui non riesco a scorgere i loro movimenti, ma posso immaginare che, dentro i caschi, ogni tanto alzino la testa verso la Terra che splende nel cielo nero come inchiostro.

Penso che non si siano nemmeno messi in contatto con la base, laggiù, dietro le colline arrotondate che cingono il Mare della Tranquillità, come lo chiamano.

No, sono sicuro che non lo hanno fatto. La sorpresa è stata troppo grande.

È possibile che, in questo momento, ancora si domandino se stanno sognando.

Per questo lascio loro la prima mossa e fingo di ignorarli. Attendo che si abituino alla mia presenza, che decidano che sono reale e si comportino di conseguenza.

Per un attimo ho temuto che non tornassero.

Sono passati più di cinquant’anni, secondo i miei calcoli, tra la partenza del loro ultimo velivolo e questa missione.

Per me, ovviamente, cinquant’anni sono meno di un battito di ciglia, ma ho scoperto che anche un battito di ciglia può essere insopportabilmente lungo e, in quell’angoscioso vuoto del tempo, ho temuto che avessero perso ogni interesse per la Luna.

Per fortuna mi sbagliavo. Forse sono tornati per necessità. Non credo che le cose vadano molto bene laggiù, sulla Terra. Non era così quando l’ho lasciata. E, naturalmente, la responsabilità è in gran parte mia.

Forse mi uccideranno.

Potrebbe sembrare ingratitudine dato che, in un certo senso, sono arrivati quassù grazie a me. Sono io che ho insegnato loro a costruire città e grazie alla mia stirpe hanno appreso a lavorare i metalli, a costruire vasi, a suonare la cetra…. Mio fratello non ne sarebbe stato capace. Se fosse per lui vivrebbero ancora in capanne di paglia e userebbero strumenti di pietra. Naturalmente questo non pareggia i conti.

Sì, è molto probabile che mi uccidano: in fondo, questa è la prima lezione che ho impartito loro e credo che l’abbiano appresa molto bene.

A rischio di apparire superbo, o blasfemo, potrei dire che sono fatti a mia immagine.

Penso che, se mi uccidessero, si chiuderebbe un ciclo iniziato tanto, tanto tempo fa, quando ho chiesto a mio fratello di andare nei campi.

Ma forse non mi ammazzeranno.

C’è ancora quel segno su di me e, quando lo vedranno, capiranno subito che nessuno, incontrando Caino, deve ucciderlo.

Sì, è probabile che fuggano, lasciandomi qui a domandarmi, ancora una volta, che cosa devi fare quando ti sembra che Qualcuno, Lassù, ce l’ha con te.

E io andrò avanti.


 

NDA: La leggenda secondo la  quale Caino si troverebbe sulla Luna, costretto a vagare per l’eternità con un fascio di spine sulla schiena, non è di mia invenzione. Me l’ha raccontata per la prima volta mio nonno, che, a sua volta, l’aveva sentita da suo nonno, il quale asseriva di poter discernere, nelle macchie lunari, la sagoma del primo omicida. Anni dopo scoprii che il racconto ha origine almeno medioevale, tanto che, secondo l’interpretazione più accreditata, Dante stesso ne fa menzione nella Divina Commedia (Inf. XX 126 ). 

Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine
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sotto Sobilia Caino e le spine

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