Piccole gocce iniziarono a ticchettare sul biglietto che stava contemplando con lo sguardo inebetito, stupendosi nuovamente di essere riuscito a fare quel gesto. Lo aveva comprato.
Pioveva… Alzò lo sguardo e presto i suoi occhiali si riempirono di pioggia. Assicurò il biglietto nella tasca interna della giacca e si spostò sotto la tenda del fruttivendolo adiacente casa, pulendosi gli occhiali nella sciarpa che gli avvolgeva il collo, in attesa dell’arrivo del taxi. Susanna si affacciò dal balcone per un ultimo cenno di saluto con la mano. Come al solito, prima di varcare la soglia di casa, gli aveva sistemato la cravatta gli aveva dato un bacio sulle labbra e questa volta aveva parlato al plurale: “Buon viaggio amore, torna presto, noi ti aspettiamo”, lui le aveva carezzato la pancia e si era voltato socchiudendo gli occhi e deglutendo istintivamente, stava ingoiando il suo senso di colpa.
Il taxi lo portò in aeroporto e Giovanni si diresse subito all’imbarco per Siviglia. Era in largo anticipo. Passati i controlli si sistemò su un sedile della sala di aspetto e si fermò a guardare nel vuoto. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che aveva percorso quella tratta… Prima era un’ abitudine, spendeva tutto ciò che guadagnava in biglietti aerei che, al momento dell’acquisto, già gli pareva accorciassero le distanze tra lui ed il pezzo di sé che sentiva mancare. 
Susanna sapeva tutto di quel passato, a quel tempo gli era  sinceramente amica e lo aveva consolato quando tutto era finito. La sua dolcezza, la sua capacità di sdrammatizzare e di fargli vedere la realtà sotto una nuova luce lo avevano fatto avvicinare sempre di più a lei. Non era stato un colpo di fulmine ma una intesa profonda a farlo innamorare di nuovo e di una donna così diversa. Grazie anche a lei le sue angosce svanirono nel giro di un annetto. Iniziarono ad uscire insieme sempre più assiduamente finché una sera le confessò che il fine settimana appena passato separati gli era sembrato eterno. Si baciarono e da allora non si lasciarono più. Dopo sette anni insieme Susanna aspettava un figlio. Non era in programma ma Giovanni aveva accolto la notizia con un entusiasmo tale da stupire, oltre la sua compagna, anche se stesso, subito infatti aveva sistemato la sua casa, fatto i lavori necessari e tinteggiato in modo che vi fosse spazio sufficiente per accogliere la nuova famiglia che si andava creando.
Era sereno, o così credeva, finché una notte si era svegliato sudato ed in preda al panico. Nelle notti successive era accaduto ancora. Si ripeteva sempre lo stesso sogno, Alejandra provava a parlargli, dalla sua bocca non uscivano parole ma dai suoi occhi sgorgava una quantità di lacrime tale da poter riempire un catino. Mano a mano che i giorni passavano il ricordo di Alejandra si fece sempre più ingombrante, lo accompagnava in ogni istante della giornata, il primo pensiero appena sveglio e l’ultimo prima di andare a dormire. Decise che l’avrebbe rivista. Date le numerose trasferte di lavoro che lo impegnavano non fu difficile far credere a Susanna di dover partire per l’ennesimo noioso viaggio imposto dal suo capo. Si sentì un verme ma lo fece ugualmente.
Ora, fermo su quel sedile in aeroporto, pensava a quando aveva visto Alejandra per la prima volta. Si trovava in vacanza con i suoi amici a Tenerife, stavano giocando a pallavolo coi piedi immersi nella sabbia vulcanica di Playa de la Americas che incorniciava i bordi dell’oceano. La palla era finita vicino all’asciugamano di Alejandra sporcandolo di sabbia. Giovanni era corso a scusarsi e si erano guardati senza riuscire più a staccarsi gli occhi di dosso. Passarono il resto della vacanza assieme dimentichi dei loro rispettivi amici coi quali erano capitati lì. Seguì un anno faticoso fatto di telefonate e giorni rubati al lavoro per potersi vedere non appena possibile finché, prima dell’ultimo viaggio, Alejandra, per telefono, gli disse che non voleva incontrarlo più, che per lei era troppo straziante tutto quello che stavano vivendo, che la distanza la logorava e che preferiva che finisse così. Giovanni protestò, imprecò, si disperò ma Alejandra pareva irremovibile. Partì ugualmente ma lei non si fece trovare a casa e Giovanni tornò col suo essere in frantumi. Impiegò quasi un anno per ricomporre il puzzle di sé stesso.
In quell’aeroporto il tempo pareva non passare mai, viveva un misto di sensi di colpa, voglia di tornare indietro, di arrivare, di riabbracciare Alejandra, di insultarla, di chiederle perché. Il check-in si aprì e finalmente, con un’ora di ritardo che aggiungeva angoscia al suo stato d’animo, si accomodò in aereo. Cadde in un sonno profondo e tormentato per tutta la durata del volo. 
Quando atterrò prese un taxi e si diresse verso il suo albergo in Calle Rioja, a pochi minuti a piedi da Calle Rosario dove, si ricordava, Alejandra aveva la sua scuola di flamenco. Andò in albergo, si fece una doccia e rimase a letto tutto il pomeriggio. Non se la sentiva di affrontarla già quel giorno. 
Cenò nel locale di “Tio Gustavo” dietro l’albergo, dove lei lo aveva portato la prima volta che si erano visti a Siviglia. Rientrato in albergo non riuscì a prendere sonno finché le palpebre non gli piombarono pesantemente sugli occhi, come due basculanti del garage tirate con troppa forza. Erano già le 6. Si svegliò alle 11 a causa del servizio di pulizia della camera che stava entrando nella stanza. Con la bocca impastata mandò via l’addetta alle pulizie, accese il cellulare e lesse: “ci manchi, torna presto, ti amo,(anzi ti amiamo;-) ). Tua Sus”.
Cacciò indietro il disgusto che provava per se stesso ed ordinò un caffè in camera, ne aveva un gran bisogno. Si buttò nella doccia e rimase immobile, sotto lo scroscio dell’acqua bollente, per almeno un quarto d’ora finché sentì una nuova energia pervadergli il corpo, raccolse le forze e decise che era arrivato il momento di fare i conti coi fantasmi e le domande senza risposte che, durante quegli anni, avevano dormito accanto a lui. Si vestì con cura, si pettinò, diede un’ultima occhiata allo specchio, rivolgendo alla sua immagine riflessa uno sguardo di incoraggiamento e di rimprovero al tempo stesso.
Si incamminò per la strada soleggiata che lo avrebbe portato a “La escuela de danza de Alejandra”. Arrivò ed il fatto che la scuola vi fosse ancora gli provocò paura e lo tranquillizzò al tempo stesso. 
Attraversò il cortile trascurato dell’edifico giallognolo al quale si stava avvicinando, si soffermò, forse per guadagnare tempo, sull’intonaco scrostato dei muri e pensò che non si ricordava se fosse sempre stato così o se il tempo avesse agito impietoso su quelle pareti. 
Volse poi lo sguardo alla vetrata e la vide.
I segni di qualche anno in più sul viso, forse, ma splendida come l’aveva lasciata, anche di più. Le poteva leggere il labiale mentre insegnava alle giovani presenti la gestualità del flamenco con l’esempio della mela “coje la manzana, come la manzana, tira la manzana”, “cogli la mela, mangia la mela, posa la mela”… sinuosa e sensuale eppure…estranea. 
Era immerso nella contemplazione di lei, così familiare e così lontana, quando Alejandra incrociò il suo sguardo. Rimase pietrificata per un attimo che parve non finire mai. Ancora una volta occhi negli occhi ed il mondo fuori dai confini di quegli sguardi. Congedò le alunne ed uscì di corsa. Gli saltò istintivamente al collo ripetendo il suo nome come un mantra ed omettendo come sempre una “n”, non era mai riuscita a pronunciarlo correttamente. Rimasero così per qualche secondo finché il calore della sorpresa e dei ricordi non svanì. Tornarono a guardarsi questa volta sorridendosi con imbarazzo e l’unica cosa che Giovanni riuscì a dirle fu: “Perché?”. Alejandra taceva e Giovanni incalzò: “ti amavo davvero…” Alejandra si rabbuiò, gli rivolse uno sguardo penetrante e rispose con disarmante semplicità, quasi a scusarsi: “…Io no”. 
Giovanni inaspettatamente sorrise. Aveva cercato di trovare mille scuse per il fatto che quell’amore non fosse riuscito a spiccare il volo, la distanza, la giovane età, la paura, le differenze culturali… Nulla di tutto questo, semplicemente quello che li legava non era abbastanza forte. Tutte le scuse del mondo spazzate via da una banalissima realtà che, incredibilmente, in quegli anni non era riuscito a cogliere o forse non aveva voluto cogliere. 
Giovanni l’abbracciò forte, “grazie” le disse.
Alejandra lo guardò stupita, gli prese una mano mentre Giovanni se ne stava andando e gli chiese di fermarsi ma lui, sorridendo, rispose semplicemente “Scusa ma ho davvero voglia di tornare a casa”.

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