Fabrizio salì le scale in tutta fretta. Guardò il polso: l’orologio segnava le cinque e mezza. Nelle mani impugnava tre bottiglie di rosso. Giunto nell’appartamento lasciò tutto in cucina e si diresse verso il bagno, togliendosi le scarpe senza nemmeno slacciarle.
-Tesoro! Manca la torta- esclamò Monica dalla cucina.
-Adesso ti dico tutto!- rispose lui.
Quando finì di sistemare gli antipasti sul tavolo già apparecchiato, Monica spalancò le tende che coprivano la grossa finestra nella sala, e subito la stanza fu inondata dal riverbero rossastro del tramonto di quello che era stato un gelido pomeriggio di sole. Poi entrò in bagno e si sedette sul bordo della vasca, fissando il corpo di Fabrizio maculato di schiuma bianca.
Aveva due grosse spalle e un torace largo, in perfetto equilibrio con la sua altezza. Era un appassionato nuotatore, e il suo corpo ne era la prova.
-Allora, dimmi un po’. Cosa gradisce il nostro ospite come dessert?-
-Una torta al cioccolato. Il signor Pearson va matto per la sacher. Mi è costato del tempo ma alla fine ce l’ho fatta e ho avuto la soffiata da uno dei suoi collaboratori.-
Lei gli mise le dita minute sulla testa e incominciò ad accarezzargli i capelli brizzolati inumiditi dal calore dell’acqua. – Però c’è un problema – gli rispose. - Non ho mai fatto la sacher. Insomma, non è come una qualsiasi torta al cioccolato, e non credo di potercela fare…
-Vedrai che andrà bene. Ci vuole quasi un’ora e mezza per farla. Se ti sbrighi per le sette avrai finito.- Lei annuì e uscì. -Controlla se abbiamo tutto!- aggiunse lui dalla vasca.
Nel frigo c’erano due tavolette di fondente, sei uova fresche, del burro e una confettura d’albicocche. Dalla dispensa Monica prese acqua, zucchero e farina. Misurò tutto e incominciò a preparare seguendo una delle tante ricette trovate su internet.
-La panna!-. –Che cosa c’è?- disse dall’altra parte Fabrizio che aveva sentito solo una voce confusa. Lei ritornò in bagno: - Non abbiamo la panna, e c’è scritto che la torta va servita con la panna-.
-Cristo!- imprecò lui, agitando le braccia. –Calmati amore, vado giù al market, una panna l’avranno di sicuro.- Prese e uscì di corsa. Dopo qualche minuto fu di ritorno.
Una volta infornata la torta si sentì stanca e volle sedersi sul divano di pelle ad angolo che fiancheggiava la parete sinistra della sala, con il plasma 46 pollici acceso su programmi di vario genere: attualità, telefilm, commedie, Pomeriggio Cinque; poi la pubblicità: il susseguirsi di consigli e incitamenti all’acquisto: dentifrici sbiancanti, nuovi hamburger Mac e Burger King, “das auto”, Sky ti dice che la vita è piena di sorprese, mentre la Playstation ti suggerisce di entrarci dentro per viverne tante.
-Ma la torta? La panna?- irruppe Fabrizio in accappatoio.
-Non ti preoccupare tesoro, è già nel forno a cuocere e la panna è in frigo.-
-Devo darti una cosa- disse lui, e dopo qualche secondo tornò con in mano due anelli d’oro. Gliene diede uno: - Stasera dobbiamo far finta di essere sposati. Il signor Person è un uomo all’antica, e vuole vedere stabilità nei suoi dipendenti più stretti. L’essere sposati fa capire che sei uno a posto e che non hai gusti strani. A lui non piacciono quelli ambigui, quindi porteremo queste fedi. Come data del matrimonio ho pensato al giorno del fidanzamento, e  nel caso ci chiedesse di vedere le foto del matrimonio, malauguratamente non sono ancora state sviluppate.
Lei lo guardava sbigottita: - Ma dove le hai prese queste?
-Sono dei miei genitori- e accennò un sorriso. –Quasi quarant’anni che stanno insieme. È un bel traguardo, no?-
Quando vide come le stava l’anello a Monica non dispiacque l’idea di essere sposata, anche se si sentiva strana all’idea di dover partecipare a quella commedia.
Mentre lui cercava di aggiustarsi il nodo della cravatta, lei se ne stava sulla soglia  della camera da letto, con braccia conserte e gli occhi che si spostavano, regolari, da Fabrizio alla mole voluminosa di camice piegate sul coprimaterasso. Poi decise di parlare.
-Ascolta- ,gli disse con voce seria –stavo pensando che potrei cercare un lavoro qualsiasi. Vivo qui da più di sei mesi e non ho ancora contribuito a nessuna spesa. In fondo non posso mica sperare di trovare subito un posto come insegnante.-
-Certo che non puoi.  Io te l’avevo detto che sarebbe stato difficile, e te l’ho detto appena ci siamo conosciuti. Sono stato sincero fin da subito.-
Lei non rispose. Solo si grattava la testa, fissando il pavimento con sguardo mesto.
-Adesso però non è il momento, e poi a me piace così, che te ne stai a casa, senza troppo stress, capito?…ma questa cazzo di cravatta non vuole mica mettersi bene…merda!- Prese la cravatta e pieno di furia la gettò a terra, calpestandola con un piede. Monica fece un salto improvviso. Accorse da lui e gli mise le braccia intorno alle spalle per tranquillizzarlo.
-Scusami amore...io…io non volevo spaventarti.- Lei lo guardò dritto negli occhi scuri, sorridendo di fronte a quel volto bruno che l’aveva fatta innamorare.
-Non è successo niente. Va tutto bene. Adesso ti aiuto io a metterla-, e nel mezzo di queste parole ella  si accorse del tremore di lui, di come le braccia e le gambe stessero vibrando quasi avesse addosso gli elettrostimolatori ch’era solito usare. Non l’aveva mai visto così. Allora si staccò di colpo, e notò i suoi pugni stretti tanto da lasciare dei solchi sulle mani con la punta delle unghie. Poi smise, e Monica l’aiutò a fare il nodo. Nella mezzora seguente Fabrizio si rintanò in bagno e uscì che indossava un abito scuro e profumava d’acqua di colonia. Intanto la torta era pronta, già farcita e con la copertura di cioccolato scuro che ancora gocciolava nel piatto. Appena Monica lo vide gli mise le mani sul volto, accarezzandogli le guance.
- Sei troppo nervoso oggi. Non sembri neanche tu-. Lui fece un respiro profondo. Poi la guardò negli occhi. –Ti amo- le disse, ed ella gli sorrise per poi dargli un bacio rapido sulle labbra.
-È pronta la torta?- Lei annuì. -Bisogna lasciarla in frigo però.-  - Fammela assaggiare- disse lui.
- Ma non sta bene. Non possiamo servire una torta già tagliata-
-Non importa. Vorrà dire che preparerai i piatti qui in cucina, senza farti vedere, e poi li porterai di là in sala-.
-Come vuoi tu-. Prese un coltello e tagliò un piccolo triangolo. Fabrizio l’assaggiò, e una volta tra i denti mandò giù a forza il boccone.
- È bruciata…tutta la parte di sotto è amara. Fa abbastanza schifo sai?- Monica lo guardava incredula. – Ma i tempi di cottura li ho seguiti alla perfezione e ci ho messo un sacco di zucchero, forse è colpa di questa ricetta sbagliata. Non capisco perché …
-Rifalla!- ,la interruppe. –C’è ancora tempo dai.-
- No, non ce n’è- sussurrò lei.- Sono già le sette passate, e oggi mi hai detto al telefono che lui e sua moglie arriveranno per le otto e mezza. Posso scendere un’altra volta e andare qui vicino, in pasticceria. È molto buona. Dovrò usare la macchina ma non ci sono problemi. Una sacher l’avranno di sicuro, o comunque una torta al cioccolato la si trova ovunque. In fondo il signor Person non sa che tu conosci il suo dolce preferito, quindi… - Fabrizio la fulminò: – Questa è la sera più importante della mia vita. Al signor Person è piaciuto il mio progetto, e se riesco a diventare capo del reparto vendite a soli 35 anni la mia vita, anzi, la nostra vita, cambierà in meglio, molto meglio- precisò guardandola con occhi spalancati .-Quindi, quando il signor Person assaggerà la torta dopo una cena deliziosa io potrò chiamarti in causa dicendogli quanto mia moglie sia così brava a fare persino i dolci. Tutto, ripeto, tutto dev’essere perfetto. D’accordo?
-Ma è solo una torta- disse lei sorridendo debolmente. Lui stette immobile a fissarla. Poi camminò verso il tavolo della sala, prese il vino e si scolò due bicchieri di fila. Si riempì il terzo e si mise davanti alla grande finestra dalle tende spalancate, e incominciò a far tremare la gamba destra, mentre con la mano libera strinse il pugno, lasciando di nuovo i segni delle unghie sulla pelle chiara.  Poi incominciò a passare fra le sedie e a disporre simmetricamente posate, tovaglioli e bicchieri. Prese un’altra bottiglia di vino e la sostituì con quella aperta. Monica lo guardava preoccupata sbirciando dalla porta della cucina. In quell’istante avvertì un certo timore e un forte desiderio di parlargli. Ma non fece nulla; solo cominciò di nuovo ad impastare. Mise il forno ad una temperatura più bassa. Quindi vi mise dentro l’impasto. Nel frattempo Fabrizio rimase in silenzio davanti ai vetri. Le case e gli alberi di fronte avevano preso il colore della sera. Il riflesso lunare illuminava solo una parte degli edifici ormai neri, e i tronchi e i rami striminziti dal freddo avevano assunto un aspetto cadaverico. La gamba gli  ticchettava irrequieta sulle piastrelle del pavimento. 
Trascorsa un’ora Monica passò dalla camera da letto in cucina per tirare fuori la torta. 
Indossava un lungo abito nero che le lasciava scoperte le spalle bianche. Gli occhi verdi parevano più luminosi in contrasto con la sottile linea nera di trucco che li circondava, e le bocca rossa risaltava sulla carnagione chiara come sangue su neve.
-Come sto? Non dici niente?- Fabrizio si girò per guardarla. – Stai bene- disse con voce gelida. 
-Ho un po’ di freddo però- aggiunse lei, -vado a mettermi un cardigan. Ne ho uno nero molto bello. Sicuramente starà bene-
-No, no, aspetta…- disse lui, passandosi una mano dalla fronte agli occhi. –Per favore, abbiamo già discusso sull’abbigliamento, e abbiamo deciso per quest’abito, quindi adesso lo tieni così e basta.-
A quel punto volle di nuovo assaggiare la torta. Lei non aprì bocca, prese lo stesso coltello di prima e  tagliò una fetta minuscola. Il tempo di metterla in bocca e masticarla che lui le lanciò un’occhiataccia piena di rabbia. La sua espressione si fece seria. Scattò bruscamente verso uno dei cassetti della cucina e tirò fuori un fazzoletto di carta nel quale sputò una nera poltiglia impestata di saliva. Poi arrotolò il fazzoletto e lo buttò nella spazzatura, e con la mano aperta spinse in fondo tutto il contenuto del secchio. Monica impallidì. All’improvviso non capiva più nulla. Quella reazione le parve esagerata e insensata. Senza dire una parola Fabrizio prese il proprio telefono e cominciò a parlare guardando la faccia di lei. Non sembrava nemmeno la sua voce. Egli simulava gravi colpi di tosse e respiri affannati, parlando come se fosse nel pieno di una brutta influenza. Girava su se stesso, e intanto non distoglieva lo sguardo da lei. Quando mise giù Monica attaccò:
-Si può sapere che cos’hai? Sei forse impazzito? Perché hai detto a Pearson di non venire fingendoti malato? -.
- È colpa di quella torta del cazzo! Ma lo capisci?-rispose lui.- Lo capisci che è fatta veramente da schifo?- e mentre parlava piegò la schiena verso il basso, curvo, agitando le braccia in aria. –Ti avevo detto che tutto doveva essere perfetto, e senza quella torta l’incontro non può funzionare. Dovrò richiamarlo e supplicarlo di venire di nuovo perché tu sei una stronza incapace.- 
A furia di urlare il viso si fece paonazzo, e sul collo gli spuntarono due grosse vene, come quando si pratica uno sforzo fisico notevole, mentre le labbra si riempivano di schiuma bianca. Monica perse la pazienza urlandogli che aveva passato l’intero pomeriggio davanti ai fornelli e che la torta l’avrebbe potuta benissimo comprare sotto casa. Lui la guardò per un attimo con l’aria frustrata di chi sente di non aver alcuna autorità. Alla fine lei gli disse pure di andare affanculo, vedendo che lui non riusciva nemmeno a parlare. Era la prima volta. Poi prese la sua borsa dicendo che sarebbe ritornata da sua madre e quando s’avviò verso l’ingresso egli l’afferrò da un braccio scaraventandola a terra. Nel cadere ella spostò la tenda della finestra in sala, e le sue pupille guardarono fuori, quasi a voler cercare un’anima a cui chiedere aiuto. Ma non c’era nessuno, niente, se non una linea di lampioni monocoli, in fila come grossi ciclopi. 
-Mi hai fatto male…perché?- mormorò lei-
-Perdonami…ho perso la testa. Scusami amore, scusami…- disse lui a voce bassa, come parlando a se stesso, e cercava di spostarle i capelli che durante la caduta le si erano riversati sul volto, coprendole gli occhi ora simili a quelli di una bestiola ferita. Ma ogni volta ch’egli s’avvicinava lei gli schiaffeggiava le mani, allontanandole sempre più. All’ennesimo rifiuto Fabrizio le strinse i polsi e le tirò le braccia per risollevarla da terra, ma in quell’istante Monica lanciò un urlo animalesco, e per farla tacere le tappò la bocca con una mano, e con l’altra formò un pugno ben stretto e glielo sferrò sulla nuca allo stesso modo in cui vide suo padre farlo con sua madre che si rifugiava sotto al tavolo di legno, a quattro zampe, come un cane, mentre lui, ancora bambino e con gli occhi gonfi, stringeva i pugni fino a bucare la pelle con le unghie, nascosto dietro allo stipite della cucina.

 

 

 

La televisione era rimasta accesa su canale cinque, di fronte a lei. Per alcuni istanti fissò il volto lucido della giornalista in tailleur mentre dava le consuete notizie di morti ammazzati. La continuava a fissare, ch’era l’unica testimone che dalla finestra-televisione sembrava potesse vedere ogni cosa. Poi basta. Lui spense l’apparecchio e lo schermo si fece nero. Non una parola.

 

 

 

 

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