Eh sì, la storia di Lucia la conoscono tutti in paese, non ne parlano volentieri perché dicono che i morti vanno lasciati in pace, però se incontri la persona giusta e la lasci parlare, puoi stare sicuro che prima o poi il discorso cadrà sulla storia di Lucia. Cambia addirittura il tono della voce, perfino lo sguardo e la postura, come se anche in un ricordo si debba assumere un certo contegno. Ci sono stato in questo paese, magari pure voi lo conoscete o ci siete passati per caso, si trova a una decina di chilometri dalla città. Appena fuori la zona industriale girate a destra e ci arrivate in faccia, sbucando nella piazza della chiesa, non potete sbagliare. Comunque quel giorno, cercavo un elettrauto perché improvvisamente si era accesa una spia sul cruscotto dell'auto. Il benzinaio mi indirizzò a un'officina poco distante dal cimitero.

"Non si preoccupi, mi disse, è l'additivo del gasolio, basta un rabbocco e vedrà che tutto torna nella norma, finisco un lavoro poi vengo da lei”.

Ringraziai per la gentilezza e mi incamminai verso il cimitero, per far passare la mezz'ora necessaria, osservato dal meccanico che mi seguiva con lo sguardo e la tuta blu giustamente macchiata. Dovete sapere che ho la passione per i cimiteri, mi piace frequentarli, leggere i nomi dei defunti e guardare le fotografie: sapeste quante cose ci dicono! È sbagliato pensare siano un luogo di morte, fin da bambino consideravo questo posto come un collegio dove le persone andavano a riposare e quindi riposando non volevano essere disturbate, al massimo portavi dei fiori e pulivi le loro nuove stanze o casette. Nel mio calpesticcio silenzioso sulla ghiaia, mi stupì una croce bianca, tra lapidi scolpite in marmo, decorata con due gigli bianchi legati, alla base della croce, da una corona del rosario. Solo il nome, Lucia, non una data né una fotografia. Lucia.

Rimasi un po’ di tempo a fissare la croce attratto dal delicato e intenso profumo dei gigli bianchi che sembravano appena colti.

Mi voltai improvvisamente, convinto che qualcuno mi stesse fissando. Avete in mente quella sensazione di avere qualcuno dietro che vi fissa? Voglio dire sarà capitato anche a voi qualche volta, infatti non mi sbagliavo. Un uomo, avrà avuto la mia età, mi guardava. Un borsalino bianco sul capo per ripararsi dal sole di giugno che già picchiava duro e un completo elegante con la pochette che spuntava dal taschino.

"Sono il papà di Lucia, mi disse con gli occhi spenti e stanchi, vengo a trovare mia figlia tutti i giorni, lei chi è, non l'ho mai vista qui, conosceva mia figlia?”. 

"No, non la conoscevo, mi sono fermato per un inconveniente alla macchina, così ho pensato di entrare nel cimitero per una preghiera e una visita, aspettando di poter riprendere il viaggio”.

Come neanche avessi parlato, proseguì "Le spiace andarsene e lasciarmi solo con lei?”.

A questa insolita richiesta salutai, leggermente imbarazzato.

Prima di uscire dal camposanto mi girai un'ultima volta e lo rividi, seduto sui sassolini. Potevo notare il movimento delle labbra, sembrava parlasse davvero con la croce, accarezzandola di tanto in tanto.

La mia auto era pronta. Pulendosi inutilmente le mani in uno strofinaccio unto, tolto dalla tasca della tuta, il meccanico mi venne incontro per spiegare il lavoro eseguito.

"È andato a bere un caffè? Mi domandò curioso”.

Risposi che ero andato al cimitero raccontandogli di questa mia caratteristica che vi ho accennato prima.

"Quindi avrà visto Lucia” mi disse accendendo una sigaretta.

“Beh non si può non vedere, è particolare, una croce bianca in mezzo a delle lapidi, si nota subito, ma chi era questa Lucia?”

"Perché lo vuole sapere?”

"Guardi che è stato lei a nominarla, risposi”. Cominciavo ad innervosirmi, prima suo padre che non mi voleva tra i piedi, poi questo qui che non sembra neanche tanto a posto. Mi guardò serio aspirando il fumo della sigaretta che uscì prepotente dalle narici come riccioli di nicotina.

"Aveva diciotto anni quando è morta, nello stesso giorno e mese della madre nel darla alla luce, strana la vita. Il padre di Lucia non si è più risposato, un grande uomo anche per questo paese, un benefattore”. Presi il portafoglio per fargli capire che avevo fretta e pagai.

Risalito in auto mi picchiettò sul finestrino. "Ha visto i gigli bianchi? Sono sempre freschi eppure non c'è più nessuno della famiglia“.

"Come nessuno? Ho appena incontrato suo padre, mi ha detto che va tutti i giorni a trovarla”.

“Non è possibile, si è tolto la vita in seguito all'incidente nel quale appunto Lucia perse la vita. L'hanno trovato che penzolava”. Lo disse imitando con le mani il ciondolare delle gambe.

"Ma scusi, non può essere, ci siamo anche parlati”.

Il silenzio tra di noi si fece pesante, con lo sguardo fisso nel vuoto, l'uomo continuava a fumare guardandomi con aria inquieta, quasi minacciosa. Io, invece, sentivo un brivido lungo la schiena, un senso di disagio e paura che cresceva come un'ombra che si allunga al calare della sera. La storia di Lucia, di quella croce bianca, di suo padre e dei gigli sempre freschi, si era insinuata nella mia mente occupando tutto lo spazio disponibile. Un silenzio irreale, non un rumore, solo lo sguardo del meccanico che mi fissava attraverso il vetro. Sgommando sull'asfalto partii, con quella sensazione di essere osservato che mi assalì di nuovo.

Un rapido sguardo nello specchietto retrovisore e vidi il volto dell’uomo con il borsalino, fissarmi. La mia auto scomparve dentro una nebbia improvvisa, la sensazione di essere osservato non se ne andava, anzi, aumentava di più. Quel volto era ora più vicino, più reale, non una semplice allucinazione. I suoi occhi, spenti ma penetranti, sembravano scrutarmi dentro, come volessero dirmi qualcosa di terribile.

Poi il nulla, nessuno intorno, non una casa nemmeno una strada, né un albero non sapevo più dove fossi, la mia auto sembrava un’isola di solitudine in un mare di oscurità. Davanti a me un vortice di ombre e luci, figure nere, veloci come saette, presero a girarmi intorno, come se il confine tra il reale e l’irreale si fosse cancellato o non fosse mai esistito.

Un sussurro che divenne una voce diabolica, si levò all’interno dell’abitacolo, il volto dell’uomo riapparve nello specchietto, deformato in un ghigno spaventoso. “Non puoi fuggire, resta con noi, l'oscurità ha fame”.

La voce era carica di un’angoscia e di un odio che gelavano il sangue. Solo il vuoto, il silenzio e quella sensazione di essere intrappolato in un incubo senza via d’uscita. Poi così come era scesa, la nebbia svanì e mi ritrovai sulla strada verso la città, incredulo su quanto avevo appena vissuto e con una lieve sensazione di tranquillità. Corsi verso casa percorrendo le strade conosciute e finalmente arrivai.

Tutto era finito.

Entrai e sul divano c'era un borsalino bianco con due gigli bianchi.

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